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Esplosione di Gubbio, la Procura: "Indagati consapevoli del rischio mortale non sono intervenuti"

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Francesca Marruco
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I datori di lavoro di Elisabetta e Samuel, morti nell’esplosione della Greenvest di Gubbio del 6 maggio scorso, erano “consapevoli” degli enormi rischi che si correvano nel laboratorio illegale di località Canne Greche saltato in aria come in un bombardamento. Ed è per questo che la Procura ha riqualificato le accuse da colpose alle ben più gravi di natura dolosa. Per il pm titolare dell’inchiesta, Gemma Miliani e il Procuratore capo, Raffaele Cantone, gli indagati, non solo hanno messo in piedi un laboratorio artigianale illegale per l’abbattimento del Thc della canapa senza la benché minima cautela, vista la presenza di ingenti quantità di pentano utilizzato e stoccato in maniera impropria e rischiosa “consapevoli” dei pericoli, ma “nulla” hanno fatto per “ovviare a a problematiche a loro note”.  E le accuse, per gli indagati che sono passati da 4 a 5 sono state riqualificate - almeno allo stato delle indagini - da omicidio, incendio e lesioni colpose alla contestazione di dolo proprio per le tante consapevolezze individuate dalla Procura in capo agli indagati. Gli stessi che, per i magistrati non avevano invece “mai informato il personale dei rischi insiti nella lavorazione del liquido infiammabile che utilizzavano”. 

 


Di quel personale facevano parte il 19enne Samuel Cuffaro, morto “a causa dell’intossicazione da monossido di carbonio essendo rimasto tra le macerie nell’attesa dell’arrivo dei soccorritori” ed Elisabetta D’Innocenti deceduta perché “investita violentemente dall’esplosione, avvenuta nella stanza in cui si trovava”.  La lunghissima e inquietante lista di elementi di cui gli indagati, per l’accusa, erano a conoscenza, è contenuta nell’avviso di conclusione indagini, notificato proprio ieri mattina.  Alessandro e Luciano Rossi, Michele Maria e Maria Gloria Muratori e ora pure Giorgio Mosca sono accusati di omicidio perché consapevoli della “potenzialità lesiva del pentano lo detenevano (con modalità non a norma) e lo utilizzavano in modo specificatamente vietato inserendolo all’interno di lavatrici a ultrasuoni che comportavano il rapido surriscaldamento del combustibile e l’esalazione di vapori”. Quel metodo per abbattere il Thc era stato inventato dall’indagato Alessandro Rossi. E, per la Procura lui e gli altri quattro, erano “consapevoli dell’assoluta assenza in capo all’inventore Alessandro Rossi di specifiche competenze scientifiche o esperienze di natura tecnica similari”. Consapevoli “della illegalità e della pericolosità dell’attività di abbattimento ideata, tanto da aver pubblicizzato la tecnica in maniera non veritiera in un annuncio online, omettendo di specificare l’utilizzo del pentano”. L’altra consapevolezza è legata allo “stato di crescente insicurezza dell’edificio a causa del forte odore di combustibile che, durante la lavorazione invadeva il laboratorio e a causa dell’aumento delle temperature per l’arrivo dell’estate e dello stato di deterioramento dei fusti di pentano stoccati”. Infine, sono ritenuti “consapevoli” di essersi resi conto “sin da subito della necessità di un impianto di condizionamento e raffreddamento del luogo di stoccaggio del pentano e di aerazione nel laboratorio” tanto da aver “acquistato una cappa” che però non è “mai stata installata”. I magistrati - che chiudono le indagini a due giorni dal primo anniversario della tragedia - però vanno oltre, e indicano anche il motivo per cui, secondo la loro ricostruzione, la pericolosissima lavorazione della canapa non è stata interrotta. O nemmeno sospesa. 

 

 


Gli indagati - che rischiano pene pesantissime - “in virtù delle loro posizioni apicali e dei loro poteri decisionali prendevano la decisione di continuare l’attività di abbattimento del Thc stante l’incremento di profitto”. Gli inquirenti - all’inchiesta hanno lavorato carabinieri, guardia di finanza e vigili del fuoco - hanno infatti individuato una importante commessa da 300 kg di cannabis destinata al mercato europeo che “doveva essere portata a termine entro breve termine”. Non solo omicidio doloso plurimo, lesioni gravissime plurime, incendio doloso e omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro, i cinque indagati sono infatti accusati pure di spaccio. Perché, per la Procura “senza autorizzazione e al di fuori dei limiti, detenevano per cederla a terzi ed effettivamente cedevano, cannabis che ricevevano da società e procedevano ad abbatterne il Thc attraverso la procedura illegale” che ha portato all’esplosione. In cui oltre alle due vittime, altri due dipendenti sono rimasti gravemente feriti: Kevin Dormicchi e Alessio Cacciapuoti, all’epoca minorenne, che aveva subìto l’amputazione di una gamba. L’avvocato Luca Maori, che difende Giorgio Mosca, ora indagato dopo essere stato inizialmente indicato come persona offesa, afferma: “Rimaniamo perplessi dall’ impostazione della Procura, il mio assistito nega nella maniera più assoluta i fatti per come sono stati narrati, anzi lui è stato vittima di quanto accaduto, perché ha perso l’immobile e si è trovato vicino a subire i danni dello scoppio di cui non conosceva i motivi. Attendiamo di leggere gli atti, anche se si nega la conoscenza delle condotte criminose contestate agli altri quattro soggetti”. Condotte per la Procura consapevoli, che hanno stroncato vite e distrutto famiglie.