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Zone terremotate del Centro Italia come paradiso fiscale per i pensionati: si doveva osare di più

Sergio Casagrande
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Fare delle zone terremotate del Centro Italia un piccolo paradiso fiscale per pensionati stranieri è stata un’ottima scelta del governo. Perché lo spopolamento dei nostri paesini di montagna è un male che affligge da anni tutto l’Appenino e il sisma lo ha aggravato ulteriormente. Inoltre, l’arrivo di nuovi abitanti dall’estero può dare anche benefici economici a questi territori. Ma occorreva osare di più. Limitare a soli 5 anni il beneficio fiscale di un’aliquota ridotta al 7 per cento non costituisce, infatti, di per sé, un ottimo motivo di attrazione. Prima di tutto perché, in tema di agevolazioni fiscali per i pensionati, all’interno dell’Unione europea e non solo, altri Paesi offrono di più. Poi, perché le zone terremotate del Centro Italia presentano disagi e problematiche che, invece, non soffrono le località che vengono messe sul piatto dalla concorrenza. Queste ultime, per esempio, in molti casi hanno: presidi sanitari e ospedalieri eccellenti; ottime vie di comunicazione; buoni collegamenti veloci con il resto del mondo (c’è perfino chi vanta aeroporti internazionali in casa); massima efficienza di tutti i servizi. E, tante, aggiungono pure mare, sole e un clima paradisiaco in qualsiasi periodo dell’anno. O quasi.
Tutto questo la Valnerina e il Reatino terremotati non possono offrirlo. Hanno sì dalla loro parte un ambiente invidiabile; l’aria salubre della montagna; un’offerta gastronomica di indubbia eccellenza. E una qualità della vita che non conosce né lo stress, né il logorio dei tempi moderni. Ma già solo in qualità dei servizi - salvo poche eccezioni - peccano. E in alcuni casi anche di molto. Le ragioni sono molteplici e affondano le loro radici nella storia e nell’incapacità che c’è stata nell’amministrare queste parti del Centro Italia soprattutto nel passato e in particolare da parte di un governo centrale che per decenni le ha considerate aree di serie D.
Ben vengano, quindi, scelte come quelle intraprese col decreto legge appena pubblicato in Gazzetta. Ma prima ci si doveva porre una domanda: perché un pensionato straniero, magari di una bella e ricca regione del Nord Europa, dovrebbe scegliere un paesino delle zone terremotate italiane per il suo buen retiro e non preferire altre offerte fiscali analoghe - o perfino migliori - presentate da Paesi come Portogallo, Grecia, Cipro e Spagna per le Canarie?
Magari la risposta non si sarebbe trovata subito, ma sarebbe stato palese che, se l’obiettivo era allargare al massimo la cerchia degli interessati, offrire solo 5 anni al 7 per cento non può essere la soluzione più appetibile.
E poi, perché non dare la stessa possibilità anche ai pensionati italiani di altre regioni? La platea si sarebbe ampliata rallentando anche la fuga (che continua senza freni) dei pensionati italiani all’estero. E, forse, tra quei 400 mila che già oggi vivono in 160 Paesi stranieri, qualcuno avrebbe pure potuto fare un pensierino su un possibile ritorno in Italia. Un ritorno fisico e fiscale, visto che sarebbe anche tornato a versare le sue tasse, seppur ancora ridotte, all’erario di casa nostra. E non a quello degli altri.
Sergio Casagrande

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Twitter:@essecia