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Umbria, effetto Covid su precari e lavoratori in nero. Più di 49 mila irregolari: l'analisi della Cgia di Mestre

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Effetto Covid sul lavoro nero. Secondo l’analisi dell’Ufficio studi della Cgia, l’associazione artigiani e piccole imprese di Mestre, la pandemia ha di fatto incrementato un fenomeno già largamento diffuso a livello nazionale. Una piaga sociale ed economica che in Umbria, stando a una stima elaborata su dati Istat, conta 49.100 occupati non regolari e produce un miliardo e 181 milioni di valore aggiunto. Il report della Cgia di Mestre evidenzia che la maggioranza di chi lavora in nero è costituita, in particolar modo, “da persone molto intraprendenti che ogni giorno si recano a fare piccoli lavori di riparazione, di manutenzione o per prestare servizi alla persona”.

 

 

 

 

Si parla, in questo caso, di autisti, badanti, acconciatori, estetiste o massaggiatori tanto per fare qualche esempio. Conferma l’analisi Angelo Manzotti, segretario generale Cisl Umbria: “Ma il vero problema, per quanto riguarda la nostra regione - evidenzia - è il lavoro che non c’è. La ripresa è a macchia di leopardo - aggiunge - e comunque la maggior parte dei contratti sono a tempo determinato. E’ su questo che deve soffermarsi l’attenzione e dalla lotta alla precarietà che dobbiamo ripartire”. Nel corso della presentazione dell’ultimo rapporto Excelsior, il presidente della Camera di commercio, Giorgio Mencaroni, ha sottolineato come il 70% dei contratti proposti dalle aziende siano a tempo determinato.

 

 

 

 

 

“Per di più il mismatching, cioè il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro non accenna a diminuire - ha aggiunto - anzi nel mese di dicembre 2021 le imprese che incontreranno serie difficoltà nel reperire i profili idonei da assumere saranno 44 su 100, uno dei peggiori riscontri a livello nazionale, e un dato in preoccupante crescita: erano 36 nello stesso mese del 2019 e 40 nel 2020”. Tornando al fenomeno del lavoro nero, a livello nazionale, secondo l’analisi della Cgia di Mestre, la situazione più critica si registra nel Mezzogiorno. In Calabria, ad esempio, a fronte di 135.900 lavoratori in nero, il tasso di irregolarità è del 22% e l’incidenza dell’economia prodotta nel sommerso sul totale regionale ammonta al 9,8%.