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Lavoro nero in Italia: cifre da manovra economica nazionale. Il report della Cgia

Pietro De Leo
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Un “valore aggiunto” che vale, più o meno, un paio di manovre economiche nazionali. E’ questo il conto del lavoro nero in Italia calcolato dall’Ufficio Studi della Cgia di Mestre. Tradotto in cifre 77,8 miliardi, con una discrepanza tra Nord e Sud del Paese. In Lombardia il fenomeno interessa il 10,4% dei lavoratori ed incide sul Pil per il 3,6%. Di contro, in Calabria abbiamo un rapporto del 22% rispetto alla totale forza lavoro ed un’incidenza sul Pil del 9,8%. Nelle regioni del settentrione, il peso sul prodotto interno lordo si aggira attorno al 4%. Nel Mezzogiorno, invece (al di sotto del dato Calabrese) si sfiora quota 8 in Campania (8,5%) e si sfiora in Sicilia (7,8%). Insomma, un altro tema che segna il solco di diseguaglianze territoriali che ancora affliggono il nostro Paese.

 

 

Il report dell’associazione, peraltro, evidenzia due spunti importanti. Il primo è che la diffusione del lavoro nero è direttamente proporzionale al rischio che, in determinati comparti come l’edilizia a l’agricoltura, non vengano osservate le norme di sicurezza e tutela del dipendente. L’altro, però, ha a che fare con la complessità dei nostri retaggi sociali.

 

 

L’ufficio studi della Cgia nota: "Possiamo affermare  che il sommerso è anche un vero e proprio ammortizzatore sociale. Sia chiaro, nessuno vuole giustificare il lavoro nero legato a doppio filo con forme inaccettabili di caporalato, sfruttamento e mancanza di sicurezza nei luoghi di lavoro. Tuttavia, quando queste forme di irregolarita' non sono legate ad attivita' controllate dalle organizzazioni criminali o alle fattispecie appena richiamate, costituiscono, in momenti difficili, un paracadute per molte persone che altrimenti non saprebbero come conciliare il pranzo con la cena. In Italia, sono oltre tre milioni i soggetti - lavoratori dipendenti che fanno il secondo/terzo lavoro, cassaintegrati, pensionati o disoccupati - che in attesa di tempi migliori sopravvivono ‘grazie’ ai proventi riconducibili da un'attività irregolare”. Una fotografia di cui il legislatore deve tener conto anche in vista della riforma delle politiche attive e di quello strumento di sostegno come il reddito di cittadinanza, che spesso si è accompagnato a situazioni di lavoro sommerso.