
Dj Ralf: ok fermare le discoteche di fronte a un'emergenza ma la severità deve valere per tutti

Il re dell'house italiana: "Stretta giusta o sbagliata? Il discorso è lungo e spinoso". Ecco cosa pensa il disc jockey umbro
Diciotto agosto, metà mattina, Ralf è a casa, nelle campagne di Mantignana, a un tiro di schioppo dalla sua Perugia. “E dove vuoi che sia?”. Poche parole in cui c’è il senso stesso di un’estate sottosopra, a maggior ragione per uno come lui che solitamente di questi tempi è sempre in giro a suonare. Dj Ralf è il re dell’house italiana. La stretta sulle discoteche non ha risparmiato neanche lui. “Domenica dovevo fare un set all’alba a Riccione, ma salta”. Ed è chiaro, per chi lo conosce, che non ha un grande senso chiedergli se questa stretta sia, semplicemente, giusta o sbagliata. “Il discorso è lungo e spinoso”, dice. “Per esempio non mi piace che tutte le discoteche siano considerate uguali. Io non sono uno da Papeete, o da Twiga. Non li demonizzo, ma siamo un’altra cosa. Di sicuro io non amo la discoteca come luogo dell’ostentazione, non amo le dinamiche dei tavoli privati, della champagnata, quello è tutto uno sfoggio di chi ha più soldi, una corsa ad aprire più bottiglie degli altri. Gorilla che si battono il petto. Per me il ballo è altro: è ritualità, ha bisogno di musica di qualità, è gente che va in discoteca con le scarpe da ginnastica per abbandonarsi al ritmo e alle melodie, per esprimere se stessa. Nella percezione della gente comune, invece, non c'è distinzione”. L’opinione pubblica ha un’idea distorta del mondo del ballo? “Sì. Il ballo è un bisogno ancestrale dell’uomo. Non sopporto che venga considerato qualcosa di superfluo, a cui poter rinunciare a cuor leggero. Dipende da come si intende la vita: per me è fatta di lavoro, di passione, di divertimento, di svago. E poi nel movimento creatosi intorno al ballo esiste un tessuto sociale fatto di lavoratori che ora sono a terra. Penso a quelli che montano i palchi, ai tecnici, ai musicisti, alle bariste. Ora vedo che si daranno indennizzi ai proprietari delle discoteche, invece bisognerebbe darne prima di tutto alle maestranze”. In tempi di emergenza, si potrebbe dire, si devono fare anche rinunce dolorose. “Sì. Ma se bisogna evitare assembramenti occorre un ragionamento che riguardi tutto: piazze, aeroporti, locali. Quest’estate ho fatto alcune serate e c’era controllo, sempre. Ma devo essere onesto, nei club è difficile tenere la gente distante. Però questo vale davvero dappertutto: nei bar, dove si fa l’aperitivo, ovunque. Se gli spazi sono limitati è inevitabile. Ora, l’idea di ballare a tre metri di distanza con la mascherina mi sembra davvero improponibile. A queste condizioni tanto vale che non si faccia”. Secondo lei chi da una posizione pubblica contesta, anche platealmente, la chiusura delle discoteche soffia sul fuoco, finisce per aizzare i più giovani? “Questo non lo credo. Un’altra faccenda è la retorica del ‘chiudono le discoteche e aprono i porti’: quella è solo roba per acchiappare voti e parlare alla pancia del popolo”.