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Fred l'indomabile: dalla paraparesi alla maratona di New York. "Lo sport mi ha dato la forza per ripartire"

Nicola Uras
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Dalle due ruote alla maratona. Scelta forzata, ma che testimonia lo spirito di Federico Morini. Un atleta strappato al ciclismo da un brutto incidente dal quale si è ripreso, ma le conseguenze non gli hanno permesso di risalire in bici. Poi è incappato in un altro brutto incidente, anche in questo caso con una diagnosi da far paura, ma Fred non ha mollato. Si è rialzato, si è realizzato nella vita e ha scelto il podismo per restare nel mondo dello sport, fino ad arrivare a correre la maratona di New York, con un bel risultato e insieme a un grande amico. Quarantadue chilometri e 195 metri in 2.49.35, dica la verità, li ha fatti in bici… “Ad un certo punto, quando sono andato in crisi, ho pensato di rubarne una. Si è vero è un buon risultato, ma potevo fare anche meglio, visto che il mio personale è di 2.40, però era la prima volta e ho fatto qualche errore. Devo migliorare”. Quando e come si è avvicinato al podismo? “Un anno fa per sfogo. Ho cominciato da solo e poi ho continuato ad allenarmi con i compagni della Tiferno Runners e qualche volta lo faccio con l'amico Cristian Marianelli”. La sfida è ricominciata, visto che avete corso insieme fino all'Under 23 nel ciclismo con le stesse squadre? Chi era più forte? “Nessuna sfida, però cercherò di allenarmi sempre di più e di avvicinarlo. Lui ha fatto davvero una bella impresa (primo degli italiani in 2.28.35 ndr). In bici eravamo diversi, ma vincevamo parecchio. Lui si trovava bene nelle gare di un giorno, era più veloce, io sapevo emergere anche nelle gare a tappe da passista scalatore”. Lei è venuto fuori da due momenti davvero difficili, come ci è riuscito? “Intanto ho trovato ottimi medici, tecnologie all'avanguardia, grande sostegno dalla famiglia e dalla squadra tedesca, la Gerolstainer che non mi ha abbandonato. Poi è stata determinante la capacità di saper soffrire in silenzio che ho appreso dallo sport, dagli allenamenti duri del ciclismo”. Dopo il primo incidente, nel 2003 lei ha scritto un libro, Le braccia al cielo, perché? “Avevo bisogno di raccontare la mia storia, non potevo tenermi tutto dentro”. Come è nata la passione per la bicicletta? “Per gelosia. Ho cominciato con il calcio, poi le attenzioni di mio padre, ciclista amatore, erano maggiori per mio fratello di sei anni più grande che andava in bici e allora ci sono salito anche io. Ho fatto tutta la trafila delle giovanili partendo dalla squadra di Selci, fino al professionismo”. Si ricorda quello che è successo il giorno del primo incidente? “Tutto. Ero al terzo anno fra i professionisti con la Gerolsteiner, con la quale avevo firmato nel 1999, dopo essere stato in contatto con la Mercatone 1 di Pantani. Sono andato subito forte. Il primo dicembre del 2001, ho firmato un nuovo contratto bellissimo di quattro anni con l'opzione del quinto e sono tornato a casa per festeggiare con la famiglia. Il 10 dicembre  al mio primo giorno del programma di allenamento di sei settimane, mi sentivo benissimo. Invece, in un attimo, è cambiato tutto. Sono caduto sulla strada della Montesca che avrò percorso 10.000 volte in allenamento. La diagnosi è stata impietosa: shock midollare, paraparesi degli arti inferiori e la carriera che se ne va al vento. Non rischiavo di rimanere in carrozzina, ma di avere gravi conseguenze. E' stata dura, ma gli affetti e lo spirito sportivo mi hanno fatto ripartire”. Ma c'è stato un altro incidente e qualche altro esame della vita da superare? “Si, l'ho combinata grossa nel 2014. Sono caduto dalla sedia al lavoro alla Bianchi e ho avuto la stessa diagnosi del primo incidente. Ho ricominciato a soffrire in silenzio e a guarire, poi ho scoperto anche qualcos'altro di poco chiaro e ho dovuto fare anche altre cure”. Lei si ritiene sfortunato? “Affatto” E adesso è tornato a rialzare le braccia al cielo…  “Si, ho ricominciato alla mezza maratona di Città di Castello un anno fa, ho vinto la 34 chilometri della Strasimeno e la corsa di Monterchi. Ora continuo ad allenarmi con serenità. Non cerco rivincite. Voglio fare un'altra maratona e poi… magari smetto”. Lui lo dice mentre ride, pronto ad altre sfide, per finire sempre a braccia al cielo. di Lorenzo Fiorucci