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Ternana, tutti i segreti di Iannarilli: "Muslera, Bryant e i viaggi tatuati"

Antony Iannarilli

Roberto Minelli
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Dieci minuti con Antony Iannarilli. Tanti ne sono serviti per entrare nella sfera intima del portiere nativo di Alatri, fenomenale tra i pali in questo inizio di campionato ma anche pieno di aneddoti e vissuto fuori dal campo. Non si fa mancare nulla l'estremo difensore della Ternana: da una ragazza osteopata che lo rimette in piedi a ogni piccolo dolore fino a un gruppo di amici con i quali condivide interminabili partite a carte (giochi prettamente italiani) e ricordi di viaggi tatuati sulla pelle. Nel mezzo, una famiglia che lo ha sostenuto da sempre, due sorelle con le quali condivide l'iniziale del nome e due episodi sul campo di quelli indimenticabili: il brutto infortunio che lo ha costretto all'asportazione della milza e il gol (merce rara per i numeri uno) ai tempi del Gubbio. Chi sarebbe oggi Antony Iannarilli senza la passione per il calcio? “Guarda, mi trovi impreparato perché la passione per questo gioco l'ho avuta da sempre, da quando i miei genitori mi regalarono una porticina per farmi esercitare sul cortile dietro casa”. Perchè il portiere? “Sin da piccolo ho sempre odiato correre. Quindi, per giocare, non ho potuto fare altro che piazzarmi tra i pali”. Sei cresciuto nelle giovanili della Lazio, allenandoti anche con portieri di caratura internazionale come Muslera. “Per me lui è stato un punto di riferimento. Si è fatto valere solo attraverso duro lavoro e tanta forza di volontà, esempio che ho fatto mio e che cerco di emulare ogni giorno”. Nella tua carriera ci sono due passaggi chiave: l'infortunio con la Salernitana e il gol siglato in Gubbio-Grosseto. “Giocavamo a Lucca contro la Borgo a Buggiano. A seguito di uno scontro di gioco mi hanno dovuto portare all'ospedale per asportarmi la milza. Per qualcuno non avrei più potuto giocare invece, dopo due mesi, sono tornato ad allenarmi. Per quanto riguarda il gol, è un ricordo che ancora mi fa venire i brividi. Al 91esimo, su corner mi sono buttato nella mischia e il mio colpo di testa è finito in fondo alla rete. Da quel giorno mi chiamavano Bobo32, come la pecetta attaccata sul mio armadietto nello spogliatoio”. Usciamo un po' dal rettangolo di gioco. È vero che ti piace giocare a carte? “Tantissimo. Dai tempi della primavera della Lazio insieme a Tuia, Mendicino, Luciani, Sbraga e Perpetuini facciamo partite serrate di briscola e tressette. Nei ritiri con la squadra il mister veniva a controllare in camera se giocavamo”. Gruppo di compagni con i quali hai condiviso anche altro: “Fanno parte di quello che noi definiamo gruppo ‘90. Insieme a loro e Tremolada abbiamo passato 25 giorni negli States tra California, Las Vegas e Miami. Giorni così belli che abbiamo voluto tatuarci il ricordo sulla pelle”. Los Angeles, la città dei Lakers di Kobe Bryant. È da lì che nasce l'idea del numero 24 che indossi quest'anno? “Sì, il numero è per omaggiare la mentalità di Bryant nel lavoro quotidiano e nella voglia di misurarsi”. Parliamo di famiglia. Sei fidanzato? “Sto insieme a una ragazza che svolge la professione di osteopata qui a Terni. Lei mi rimette in piedi ogni domenica”. In famiglia hai due sorelle Antonella e Alessandra. Non è come nel film “La guerra degli Antò” ma poco ci manca. “Vero. Non mi chiedere il motivo ma i nostri nomi iniziano tutti con la A. Scherzi a parte non posso che ringraziare la mia famiglia e la mia ragazza per essere la mia forza e i miei primi tifosi. Dedico la vittoria con il Catania a mio nonno, che ultimamente per problemi di salute non può più seguirmi dal vivo”.