
Rudolf Nureyev tra mito e realtà. Non solo luminare della danza, ma testimone della profonda essenza della vita

Lo spirito di sacrificio e la passione sono imperativi categorici per chiunque intenda conseguire un grande obbiettivo. Rudolf Nureyev, straordinario danzatore, coreografo scrupoloso, eccentrico antesignano della danza contemporanea e simbolo internazionale della lotta all’autoritarismo comunista, ne è maestro. Nasce nel 1938 su un vagone passeggeri della Transiberiana e trascorre i primi anni conteso tra il tramenio degli attrezzi agricoli e il cigolio delle scarpette piene di pece sul pavimento. Presto il destino fa il suo corso: Nureyev si unisce alla compagnia del Teatro del Kirov e ottiene la possibilità di esibirsi all’estero. Grazia ed espressività indiscutibili gli garantiscono l’immediato piacere del pubblico. Il successo del “tataro volante” è, in poco tempo, planetario: tutti riconoscono e apprezzano l’elegante leggiadria dei suoi gesti.
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Tutti a eccezione dei russi. Nel 1961 la sua frequentazione di personaggi stravaganti e locali gay in Europa preoccupano a tal punto il capo di stato sovietico che ne ordina il rimpatrio. Cosciente del pericolo che corre, ma altrettanto consapevole delle limitazioni nell’Unione Sovietica, Nureyev decide di fare il salto della vita. Diserta l’incontro con i funzionari del Kgb a Parigi e viene all’istante condannato per alto tradimento. L’Unione Sovietica introdurrà presto la censura sul successo del danzatore. Ha inizio così l’esistenza raminga di Nureyev. Tuttavia quella libertà, tanto desiderata e sfiorata appena, non si realizza. Nessuna delle autorità internazionali, infatti, è disposta a offrirgli aiuto: si sospetta che sia una spia. Come i suoi amici più intimi dichiareranno poi, è solito portare con sé moltissimi contanti, per l’apprensione che vi sia la necessità improvvisa di fuggire.
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Potrà fare ritorno in patria soltanto nel 1987, grazie a un permesso speciale firmato da Gorbačëv. È grande l’emozione che avvolge il Teatro Mariinskij di Leningrado quando Rudolf Nureyev, ormai orfano di patria, torna, per l’occasione, a solcarne il palco. L’esempio dell’uomo Nureyev, oltre che dell’artista Nureyev, ha varcato ogni confine geografico e cronologico. Egli ha dedicato la sua intera esistenza alla danza, da sposo devoto. L’irlandese Colum McCan è stato in grado di comporre una dolce dichiarazione d’amore alla danza, immedesimandosi, con estremo realismo, nei panni del danzatore. Nella lettera alla danza, inserita nella biografia “Dancer”, si raccontano le umili e disagiate origini di Nureyev da cui soltanto la danza ha potuto salvarlo. E ancora l’esigenza sfrenata di abbandonarsi al suono della musica, liberandosi finalmente dalle pressioni di un paese delimitato dalla cortina di ferro. Il danzatore, volgendo la mente al passato, suggerisce la profonda essenza della vita: “[…] Chi non conoscerà mai il piacere di entrare in una sala con delle sbarre di legno e degli specchi, chi smette perché non ottiene risultati, chi ha sempre bisogno di stimoli per amare o vivere, non è entrato nella profondità della vita, ed abbandonerà ogni qualvolta la vita non gli regalerà ciò che lui desidera.” Rudolf Nureyev, tra mito e realtà, ha superato i limiti del tempo e viene ricordato non solo come un luminare della danza, ma anche come un uomo capace di comprendere, praticare e tramandare il più appagante e appassionato senso della vita.
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