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Se l'arcivescovo rompe il silenzio

Sergio Casagrande
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La Chiesa e gli uomini di Chiesa non dovrebbero mai occuparsi di politica, di scelte politiche e di decisioni amministrative di un Paese che ha l’indipendenza di fare e intraprendere. E’ una questione di rispetto di ruoli. Ma se monsignor Renato Boccardo, l’arcivescovo che guida la Diocesi di Spoleto e Norcia, si esprime e si scaglia contro una decisione presa dal governo su un tema delicato come quello della ri-nomina di chi deve occuparsi della ricostruzione delle aree colpite dal sisma del 2016, non sono la Chiesa e l’uomo di Chiesa che si esprimono. E’ qualcuno che conosce bene il dramma e le problematiche che ancora vivono i terremotati di Umbria, Marche, Lazio e Abruzzo e, soprattutto, quelli della Valnerina. E conosce bene le sofferenze subite, il martirio delle popolazioni, i ritardi, i problemi mai risolti, quelli che avanzano a passo di gambero. Conosce bene pure i piccoli centri delle nostre montagne, ridotti in briciole da una terra che, a volte, si mostra all’improvviso come una crudele matrigna anche se, in verità, non lo è. Conosce bene tutto questo perché è stato a stretto contatto con la gente e con le realtà già da molto prima che i boati e le scosse tornassero a provocare paura, danni e distruzione. Sa bene cosa è successo, quale impatto ha avuto il sisma sulla popolazione, sulla vita del territorio, sull’economia locale. Lo sa per il suo ruolo di buon pastore ma anche perché, da quando ha messo per la prima volta i piedi nell’arcivescovado di Spoleto, tutte le sere, si concede almeno un minuto per aprire la finestra del suo ufficio. Lo fa gettando uno sguardo al di fuori delle mura della sede episcopale e ascoltando suoni, i rumori e le voci che provengono dalla città, dalla vallata e dalla montagna che circonda Spoleto. E sappiamo, con certezza, che non è retorica: lo fa veramente. Ma non è tutto.

 

 

Monsignor Renato Boccardo è stato anche uno dei primi a raggiungere le zone terremotate del 2016, per vedere, ascoltare e cercare di essere di conforto ai terremotati.
Lo ha fatto immediatamente dopo gli eventi sismici, il 24 agosto e il 30 agosto, prima della stragrande maggioranza dei rappresentanti delle istituzioni nazionali e regionali, raggiungendo subito Norcia, Campi, San Pellegrino, Frascaro e tante altre località quando queste erano in un aspetto spettrale, ancora avvolte dalle polveri dei crolli.
Lo sappiamo perché, da cronisti sul posto, ne siamo stati testimoni diretti e abbiamo anche riportato su queste colonne, il giorno dopo, l’ultima frase che ha pronunciato lasciando quel 30 ottobre Norcia: “La devastazione è dappertutto… Questo terremoto ci ha colpito nel fisico e nello spirito”. E, ancora, sappiamo anche che con il suo gregge ha preso un impegno personale che abbiamo ascoltato con le nostre orecchie: “Vi aiuteremo e non vi lasceremo mai soli”.
Ora, qualcuno si domanderà perché scrivo questo editoriale. 
Non lo faccio per piaggeria o per avere una benedizione e l’assoluzione dei miei tanti peccati. Né perché voglio schierarmi da una parte o dall’altra dei partiti e dei rappresentanti degli stessi partiti che si stanno già cannoneggiando dopo aver messo l’arcivescovo di Norcia e Spoleto al centro di due fronti contrapposti.

 


 

Lo faccio perché c’è chi si è già agitato per la dura presa di posizione dell’arcivescovo sulla decisione del governo di sostituire (per la quinta volta) il precedente commissario alla ricostruzione con uno nuovo: “Scelta scellerata e mero calcolo politico” – ha detto Boccardo - “uno schiaffo e una mortificazione alle popolazioni terremotate”. Evidentemente, chi ora gli risponde sostenendo che sono “frasi incomprensibili e del tutto inadatte al ruolo pastorale, in effetti da tempo abbandonati a beneficio degli aspetti più materiali e terreni del proprio mandato”, non conosce qual è l’impegno che ha preso l’arcivescovo e il motivo. E, riferendomi anche ai partiti di altri schieramenti che si sono invece eretti a paladini della difesa del prelato, non ritengo giusto lasciare queste frasi in pasto a chi vuole sbranarsi attorno a un messaggio pronunciato per dare voce più forte alle preoccupazioni, all’esasperazione e alla stanchezza di chi non può e non deve più attendere. 
Monsignor Renato Boccardo ci mette la faccia e alza la voce solo perché ha preso un impegno e perché è vicino a una terra che, da quando ha assunto un ruolo, è diventata anche la sua. E vuole evitare che ci sia gente che continui a patire le pene dell’inferno. 
Se alla guida del Paese ci sia un partito o un altro, non gli interessa. Vuole solo che il governo – che, pur cambiando i colori, almeno nel nome mostra la continuità - faccia davvero la sua parte risolvendo, finalmente, le gravi emergenze che non sono ancora state pienamente risolte. Emergenze – e scusate le volute ripetizioni - che non si possono risolvere continuando a spostare le pedine principali di emergenza in nuova emergenza. Altrimenti, inevitabilmente, il risultato è solo di vederle moltiplicate. E, i danni da terremoti, frane e alluvioni, con quanto ne consegue per tornare a una certa normalità, sono problemi che non possono e non devono mai avere un grado di priorità se ci sono delle popolazioni a rischio o in forte difficoltà.
Quando si prende un impegno, lo si porta fino in fondo e si battono pure i pugni sul tavolo se continuano a passare gli anni senza una definitiva soluzione. Ma il governo, tutto questo, lo sa?

Sergio Casagrande
[email protected]
Twitter: @essecia