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Quirinale, contro Berlusconi nessuna contestazione legittima ma la solita ondata moralistica

Pietro De Leo
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Basta si stagli l’ombra di Berlusconi all’orizzonte e si scatena l’ondata moralistica. Cosa ben diversa rispetto alla pur legittima contestazione politica. Così, di fronte all’ipotesi che il leader di Forza Italia possa correre per la Presidenza della Repubblica, del tutto conforme alle leggi e alla Costituzione, si scatena la canea del solito tema ricorrente da trent’anni a questa parte. Ossia che il già quattro volte Presidente del Consiglio sarebbe “unfit”, ontologicamente inadatto a qualsiasi ruolo. Intervenendo ad Otto e Mezzo su La7, Carlo De Benedetti, imprenditore da decenni avversario di Berlusconi sia in partite di agonismo aziendale (si ricordi la disputa per lo smembramento dello Sme) che politico non ha fatto risparmio di iperboli. Se Berlusconi dovesse salire al Colle, ha detto, "rendo il mio passaporto al ministero dell’Interno".

 

 

Eppure non dovrebbe essere per lui grossa fatica, dato che, già diversi anni fa, annunciò il trasferimento della sua residenza civile e fiscale in Svizzera. Patria, disse, cui è molto affezionato. In effetti fa parte della epica biografica di De Benedetti. D’altronde, proprio da Sankt Moritz, in Svizzera, partì il suo aereo privato, nel 2005, con un buon numero di gioielli, valore totale 400 mila franchi svizzeri, destinazione Milano. Dove De Benedetti non fece, però, la dovuta “dichiarazione di importazione”. La Procura del capoluogo meneghino gli mosse due accuse, evasione fiscale e contrabbando. La prima, l’Ingegnere la patteggiò con 130mila euro. Dalla seconda invece fu assolto. Ma oggi sparge fumogeni di moralismo per annebbiare, da maitre a pensier della sinistra, la strada verso il Colle di Berlusconi. Tra i protagonisti del muro ideologico, poi compare anche Alessandro Di Battista, che in un lungo post di Facebook sfoderato la solita litania mafiologica intorno all’epopea berlusconiana. Un romanzone che ha fatto la fortuna mediatica di tanti ma senza alcun costrutto pratico, se non nel veleno della delegittimazione messo in circolo per anni. La tesi di Di Battista è tutta nell’incipit: “Solo in Italia un Presidente della Repubblica al quale la mafia uccise il fratello potrebbe esser sostituito da uno che la mafia la finanziava quando questa pianificava quell’assassinio”. Parole fuori dal mondo, figlie di un rigore intermittente. Perché questo pensiero evidentemente l’ex rivoluzionario pentastellato non lo aveva in testa quando editò ben due libri con la Rizzoli, appartenente alla galassia aziendale della famiglia Berlusconi.

 

 

Da ultimo, Federico D’Incà, ministro in quota Movimento 5 Stelle. Ha affermato che Silvio Berlusconi non avrebbe l’“autorevolezza” necessaria per il Colle. Comprensibile che quanti si sono avvicinati alla politica grazie alla lotteria del web solo qualche anno fa, non abbiano memoria storica, neanche di storia recente. Tantomeno cultura politica. E nulla sappiano del vertice di Pratica di Mare, dei due G8 (e un G7), del modo in cui Forza Italia irruppe nello scenario politico portando il tema della libertà al centro del confronto in un Paese afflitto da tasse e burocrazia. E magari sfugge anche il credito su cui Berlusconi può contare nei consessi sovranazionali, ancora oggi, come il board del Ppe. Dopo vent’anni. Ignorano, ma è comprensibile. Un partito nato dalle veemenze web è sottoposto a obsolescenza programmata. Come il suo leader Giuseppe Conte, di cui oltreconfine già non si ricorda più quasi nessuno.