Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Meglio eroi senza nome che martiri nel mirino

default_image

Jacopo Barbarito
  • a
  • a
  • a

E' stato giusto rendere pubblici il nome dell'agente che ha ucciso lo jihadista ricercato per l'attentato di Berlino e quello del suo collega? E diffondere perfino le loro fotografie? Mettiamoci nei panni di entrambi. E dei loro familiari. E anche di tutti quegli uomini e quelle donne impegnati ogni giorno nel garantire la nostra sicurezza. E una giustificazione alla fretta che ha avuto il ministro dell'Interno Marco Minniti a rivelare, poche ore dopo i fatti di Sesto San Giovanni, le generalità dei due agenti appare davvero difficile da trovare. Anche perché, ieri pomeriggio, il capo della polizia, Franco Gabrielli, ha diramato una circolare a tutte le questure sollecitando la “massima attenzione” poiché “non si possono escludere azioni ritorsive” nei confronti dei poliziotti e di di tutto il personale delle forze dell'ordine in divisa. Tra i due comportamenti c'è un'evidente contraddizione che amplifica ulteriormente i dubbi sulla necessità di svelare le identità degli agenti. Quando si ha a che fare con i fanatici dello jihadismo, la fretta dovuta all'entusiasmo può facilmente e trasformare i nostri eroi in involontari martiri. E noi, oggi, abbiamo bisogno più di acclamare i primi che piangere i secondi. Anche se, questo comporta la necessità di non sapere mai i loro nomi e di non conoscere i loro volti. E' stato così quando abbiamo combattuto il terrorismo interno. E' così quando combattiamo la mafia e tutte le più grandi e pericolose organizzazioni criminali. Dovrebbe essere così anche quando dobbiamo difenderci da chi ha proclamato guerra alla nostra civiltà.