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La valle sospesa tra l'inferno e il paradiso

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Sergio Casagrande
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Si rischia di commettere un errore colossale non dotando la nuova superstrada che sta sorgendo sulle montagne di Foligno di uno svincolo che serva direttamente la Valle del Menotre. Colossale quanto l'opera che si sta, comunque, già affrontando. Come già accaduto per la Flaminia - dove prima si impedì uno svincolo per Valtopina e poi si riconobbe che era irrinunciabile -, il pericolo concreto è che, tra qualche anno, si finisca per scoprire che, le buone ragioni di un veto dato oggi sono diventate, all'improvviso, le cattive ragioni dei soldi da spendere domani. Le motivazioni per le quali non si vuole più fare quest'opera, seppur valide dal punto di vista oggettivo, stridono, poi, con la realtà di quanto si sta ormai ultimando nella vallata. La Soprintendenza per i beni archeologici e paesaggistici ha dato parere contrario osservando che potrebbe causare un impatto ambientale notevole sul territorio circostante. Ma i lavori eseguiti per trasformare la 77 Val di Chienti in una quattrocorsie, così come è già stato fatto da anni nel tratto marchigiano (la strada collega Foligno a Civitanova Marche ed è ritenuta una degli assi portanti della viabilità dell'Italia centrale), hanno già causato un danno ambientale che uno svincolo come quello che si voleva realizzare, dove si voleva realizzare e come lo si voleva realizzare, difficilmente avrebbe potuto aggravare ulteriormente. Ora, lasciando una parte del progetto sulla carta e tirando dritto il tracciato della superstrada, è come voler mettere una piccola toppa su un grande squarcio che ormai è stato creato. Tanto varrebbe, quindi, concedere il nulla osta alla sua realizzazione. Non perché si vuole essere sostenitori della cementificazione, dello scempio e della distruzione dei nostri tesori ambientali, ma perché si dovrebbe essere realisti. Che senso ha, arrivati a questo punto e dopo trent'anni di attesa, abbandonare l'intera Valle del Menotre al suo destino? E sì, perché in ballo c'è proprio quel futuro della vallata che, dicendo no al nuovo svincolo, si vorrebbe tutelare. Se gli abitanti di tanti paesini, da Pale a Scopoli, da Leggiana a Casenove, e perfino da località più lontane, come Rasiglia e Sellano, sono scesi in strada per sostenere la necessità di cancellare il veto posto all'opera e sollecitarne la realizzazione e se al loro fianco sono arrivati perfino sindaci, consiglieri regionali, onorevoli e senatori, nonché rappresentanti di categorie come quelle dei commercianti e degli artigiani, significa che uno svincolo del genere è ritenuto davvero strategico e fondamentale da chi vive e lavora in quella zona. E se nessuno (almeno fino a questo momento) si è schierato dall'altra parte della barricata, sostenendone invece la non realizzazione, avrà pure o no un significato a favore dell'opera? Possibile che tutta la popolazione della Valle del Menotre sia improvvisamente impazzita e diventata nemica del territorio nel quale vive e lavora e nel quale si augurano possano fare altrettanto anche i loro figli? Oppure è più probabile che sia consapevole dei rischi che corre rimanendo di fatto isolata da una infrastruttura importante come una superstrada? Non realizzare, infatti, uscite e ingressi su un tratto di superstrada come quello che si sta costruendo tra Foligno e Colfiorito, significa imporre 20 chilometri di percorso “chiuso” da muretti, guard rail e gallerie che impediranno qualsiasi contatto diretto con un territorio che da sempre ha vissuto (ed è sopravvissuto), culturalmente ed economicamente, proprio grazie al via vai che si muoveva sulle sue strade. A parte possibili ragioni di sicurezza, visto che l'area, come ha dimostrato il terremoto del '97, è tra quelle più a rischio della regione e quindi meriterebbe collegamenti veloci, c'è anche - e soprattutto - una ragione storica che fa infuriare gli abitanti di queste zone. Perché, a fare la fortuna della Valle del Menotre è stata proprio la strada, fin dai tempi remoti. Da quando, cioè, un sentiero utilizzato inizialmente solo dai pastori fu trasformato dai militari Romani nella via Plestina. Un'arteria di collegamento tra l'Adriatico, il cuore dell'Italia e la capitale che ha visto il cavallo trasformarsi in ruota a motore e che è stata percorsa avanti e indietro da pellegrini, viandanti, re, regine e papi. E che, per la sua trasversalità e per la presenza lungo il suo percorso di luoghi di approvvigionamento e ristoro, è stata scelta perfino da popolazioni in migrazione come quelle degli Italici e degli Umbri. E da eserciti come quelli dei cartaginesi (che al lago di Colfiorito, tre giorni dopo la battaglia del Trasimeno, le risuonarono ai Romani), dei barbari e di Napoleone Bonaparte. Una strada che, nel corso dei secoli, grazie al suo traffico e alla fortuna di costeggiare un fiume il Menotre, ha visto nascere (e purtroppo anche morire per colpa dell'ottusità di chi volle investire solo quando ormai era troppo tardi sulle modernità) centinaia di opifici e piccole industrie; fiorire a Pale una delle prime cartiere d'Italia (secondo Michele Faloci Pulignani addirittura la prima); entrare in attività alcune delle prime centrali idroelettriche dell'Umbria; sperimentare, forse, nel '700 tra i parchi e i giardini pensili di villa Elisei, perfino la coltivazione del caffè. Una strada che, consentendo di arrivare facilmente in luoghi simili al paradiso (vedi, per citarne solo uno, il parco dell'Altolina con le sua cascate e le sue forre immerse nella giungla), ha fatto innamorare di quest'angolo dell'Appennino perfino Cristina di Svezia e Cosimo II de' Medici. Anche noi siamo per tutelare l'ambiente della Valle del Menotre. Ma, senza un accesso rapido e diretto - quando ormai quello che già è stato fatto ha lasciato un segno con il quale si dovrà comunque convivere -, siamo davvero convinti che si farà il bene di questa parte dell'Umbria? [email protected] Twitter: @essecia