
Il giudice di Berlino

"Ci sarà pure un giudice a Berlino" disse il mugnaio che nel '700, opponendosi al sopruso di un nobile, si era rivolto a tutti i tribunali tedeschi per ottenere giustizia e dovette arrivare fino da Federico il Grande per vedere sancita l'ingiustizia di cui era stato vittima. E lo stesso devono aver detto i concorrenti lesi dal concorso per direttore di museo, quello stesso che in questi giorni ha occupato tanto, con sbigottimenti sulla validità della decisione e per qualcuno, perfino, dell'organo che l'ha adottata. Il riferimento è alla sentenza che ha bocciato le nomine dei direttori stranieri, dopo la selezione voluta due anni fa dal Ministro. La differenza con Arnold - il mugnaio del celebre processo consegnatoci dalla storia - è data soltanto dal diverso numero di giudici interpellati. Quello dovette passare attraverso numerosi gradi di giudizio prima di arrivare al re che, esaminati gli atti e accortosi della palese ingiustizia perpetrata ai suoi danni, lo reintegrò nei suoi diritti mandando in fortezza per un anno gli scellerati giudici; questi attraverso un grado solo. La sentenza del giudice nostrano ha scatenato i commenti più disparati, molti dei quali vere e proprie chiacchiere da bar, emessi prima ancora di leggerne le motivazioni, con una subitanea demonizzazione degli estensori. La decisione di reclutare alla guida dei nostri musei direttori a mezzo di selezioni internazionali ha, sì, spalancato la strada agli stranieri, ma parallelamente danneggiato i tanti Arnold che hanno fatto ricorso all'unico strumento a disposizione della lesione di interessi legittimi. D'altronde il Tar ha questa specifica funzione e, legittimamente esercitandola, ha applicato la norma che gli impone di dichiarare un atto contrario alla legge quando non ne rispetta i dettami, valutando i provvedimenti di nomina dei sei direttori, in riferimento a quanto disposto da una norma previgente al confezionamento del bando di reclutamento. L'articolo è il 38 del decreto legislativo 165 del 2001 il quale prevede che cittadini non italiani - benché comunitari e legittimati ad accedere alle amministrazioni pubbliche - non potevano essere ammessi alla selezione in quanto, dice il Tar, "nessuna norma derogatoria consentiva al Ministero dei Beni Culturali di reclutare dirigenti al di fuori delle indicazioni, tassative, espresse". Tradotto significa che lo Stato italiano può bandire concorsi per dirigenti ben attingendo a professionalità che nostrane non sono, in ossequio al diritto europeo e a consolidata giurisprudenza della Corte Europea, ma con l'eccezione di quelle che "non attengono alla tutela dell'interesse nazionale" per concludere che "se il legislatore avesse voluto estendere la platea agli stranieri lo avrebbe detto chiaramente". Ora inneggiare a riforme estemporanee - sull'onda emotiva degli egregi risultati conseguiti dai nominati - che partano dal Tar per arrivare non si sa dove, soprattutto attraverso tweet e meme vari, è pura follia perché il problema non è abolire i Tar, ma il metodo di selezione dei direttori. Eliminare il giudice a Berlino, garanzia di legittimità per tutti, non impedirebbe l'episodio di Potsdam, quando il mugnaio non potendo più pagare le tasse al conte perché il barone aveva deviato certe acque per interessi propri ed il mulino non poteva più funzionare, fu trascinato dal conte davanti ai giudici locali, che lo condannarono a perdere il mulino e, non rassegnato, riuscì a portare la sua questione sino a Berlino.