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Il croato Prosek contro il Prosecco davanti all'Ue, l'Italia si gioca un fatturato al consumo da 2,4 miliardi

Pietro De Leo
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E’ giunto uno dei momenti nei quali il campo politico, e non solo, deve ritrovarsi unito. United we stand, dicevano i politici americani dopo l’11 settembre. Sì, perché quanto potrebbe verificarsi già da ora ha tutte le caratteristiche per esser definito l’11 settembre del Made in Italy agroalimentare, un siluro contro le nostre produzioni d’eccellenza, quel valore che si innesta in secoli di storia, tradizioni produttive che si tramandano di padre in figlio e costituiscono l’anima vera della nostra Nazione.

 

 

La Croazia ha inoltrato richiesta di tutela del marchio Prosek, che non è difficile ricollegare al nostro Prosecco. Peccato non lo sia. E ha anche connotati diversi rispetto alla produzione veneta, che peraltro ha fatto meritare ai territori dove si produce, Conegliano e Valdobbiadene, il gallone dell’Unesco. Dunque, il prodotto croato è più riconducibile al passito che al nostro prosecco. Il ministro dell’Agricoltura Patuanelli ha spiegato qual è la posta in gioco in termini di volumi: 500 milioni di bottiglie per un fatturato al consumo di 2,4 miliardi di euro, in un settore che occupa 185mila addetti e copre il 20% del totale agroalimentare.

 

 

Nel caso in cui l’Unione Europea dovesse dar seguito alla richiesta croata si tratterebbe della legittimazione di un caso di italian sounding, dando fondamento ad un fenomeno che costa al nostro agroalimentare 100 miliardi, valore più che doppio rispetto a quanto esportiamo nel comparto. 100 miliardi tolti alle nostre realtà di qualità, agli investimenti per innovazione e internazionalizzazione delle imprese e di ciò che fanno nascere. Per questo motivo, in vista dei due mesi che verranno, in cui l’Italia dovrà presentare le sue opposizioni formali alla richiesta croata, è necessario un forte sussulto di sensibilizzazione, da parte di tutti. Il mondo politico, la stampa, quanti hanno modo di incidere sull’opinione pubblica, mondo culturale e dello spettacolo. La posta in gioco, infatti, è duplice. Da un lato difendere l’italianità, ma dall’altro anche una certa idea di integrazione europea, che non potrà mai realizzarsi se non contempla la salvaguardia delle specificità