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Toscana, gestione delle Rsa e maxi evasione: "Giustizia anche per noi". Ex dipendenti Agorà rivelano

Christian Campigli
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Anni di umiliazioni, di stipendi mai arrivati o giunti con clamorosi ritardi. Di incredibili difficoltà anche solo per andare al supermercato, o dal parrucchiere. Il dolore, profondo e indimenticabile, di dover dire al proprio figlio che i soldi per quel gioco, che hanno tutti gli altri compagni di classe, non ci sono. Le storie di Valentina, Marcella, Camelia e Caterina rappresentano situazioni solo apparentemente estreme. Che, al contrario, dovrebbero essere la prima e assoluta priorità della politica.

Quella con la p maiuscola. Queste quattro donne per circa sei anni hanno lavorato presso la cooperativa Agorà, la stessa coinvolta nell'inchiesta di Arezzo su gravi irregolarità fiscali nella gestione di Rsa e che ha portato a tre ordinanze di custodia cautelare e alla denuncia di dieci persone. “Ci occupavamo prevalentemente di assistenza domiciliare e qualche volta capitava di coprire dei turni in struttura, prevalentemente nella sede di Paperino in provincia di Prato.

 

Capitava poi di essere mandate anche in sedi diverse, in base all'esigenza dell'azienda. Siamo due operatrici socio-sanitarie e due assistenti di base, tra i quaranta e i cinquanta anni”. La voce delle donne racconta tanto delle loro sofferenza, di un passato difficile, da buttarsi alle spalle quanto prima.

“Subito dopo il colloquio, ci venne proposta l'assunzione, a tempo indeterminato. Sembrava un sogno, era in realtà l'inizio di un incubo. I ritardi nei pagamenti sono diventati una costante, non un'eccezione. Il primo accredito è giunto quattro mesi dopo la firma sul contratto. Tutti i colleghi si lamentavano di questa realtà. Gli straordinari venivano pagati una tantum, per fare un esempio le più fortunate hanno riscosso due volte in cinque anni. E solo perché ci si arrabbiavamo, si alzava la voce, si convocavano riunioni. Tutte noi ricordiamo un incontro in particolar modo, con Daniele Mazzetti e con Letizia Beoni, quando ci venne detto che non vi erano i soldi per i nostri stipendi perché erano state acquistate le poltrone per la residenza per anziani. Uno degli aspetti più ricordi è che alcune strutture erano persino convenzionate. E ciò nonostante tutti, anche nelle istituzioni, conoscessero la nostra condizione”.

Dopo mesi di difficoltà la richiesta d'aiuto ai sindacati. “Ci hanno sostenuto, ma si trattava oggettivamente di scalare una montagna. In centinaia, tra Prato, Arezzo e Firenze si trovavano nella nostra stessa condizione. Portammo le buste paga ad un legale: erano tutte sbagliate, sia per quanto riguardava il versamento dei contributi, che da un punto di vista meramente burocratico. Quantificando, c'è chi ha ancora da avere fino a diecimila euro, tra trattamento di fine rapporto e stipendi arretrati. Nonostante le pressioni delle organizzazioni sindacali, nulla cambiava, l'azienda era impermeabile, un vero e proprio muro di gomma”.

 

 

Nel 2016 la fine dell'incubo, quando le cinque donne sono riuscite a trovare un nuovo impegno in una cooperativa di Firenze, il Borro. “Il messaggino della banca, che ci informava dell'accredito del primo stipendio fu una piacevole sorpresa. La cifra completa, nei tempi prestabiliti: una consuetudine per molti, una novità per noi. Ieri quando abbiamo visto al telegiornale la notizia dell'inchiesta relativa ai vertici della cooperativa per la quale abbiamo lavorato tanti anni, siamo tutte scoppiate in un fragoroso pianto liberatorio. Forse, magari in ritardo, attraverso strade ignote, ma la giustizia è finalmente arrivata anche per noi”.