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L'Italia di Venezia

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Guido Barlozzetti
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Che Italia ci raccontano i film italiani a Venezia? Che immagine del Paese ne esce da Anime nere di Francesco Munzi, Hungry Hearts di Saverio Costanzo e Il giovane favoloso di Mario Martone? Quando si parla di Italia, ma forse vale per qualunque altro paese, bisogna stare attenti agli stereotipi. Sono una trappola perché stanno dappertutto, a cominciare da quelli che ci portiamo dentro e che nel tempo hanno codificato un punto di vista, delle categorie, dei modi di pensare a cui è assai difficile sfuggire. L'Italia è di per sé un concentrato di luoghi comuni e noi ne siamo i depositari e la cinghia di trasmissione. Il cinema dovrebbe fare proprio il contrario, partire dal livello delle opinioni diffuse e distaccarsene, per smontare proprio i pilastri dell'ovvio che ingabbiano la vita nella consuetudine e nell'incapacità di cogliere differenze e complessità. E allora, Venezia e i film dei registi italiani in concorso. Si parla di Calabria, di 'ndrangheta in Anime Nere di Munzi, storia dura e cupa di lotte fra 'ndrine, in realtà scontro mortale tra fratelli, lacerati tra la terra in cui vivono e l'orizzonte degli affari globali, e intricati del groviglio delle radici e del sangue familiare. La forza più profonda del film sta nei corpi che mette in scena, insieme al mondo parallelo in cui vivono i protagonisti e la comunità che si raccoglie attorno a loro, remoto rispetto alle istituzioni e a qualunque senso dello Stato. Antropologia. Saverio Costanzo sceglie New York per raccontare i “cuori affamati”. Affamati di vita, di amore, e disposti per questo a non transigere e andare avanti fino all'estremo. Una coppia, una ragazza italiana che vive nella metropoli, un lavoro presso l'ambasciata, la condizione sempre più diffusa di chi lascia la penisola per cercare altrove un futuro, e un ragazzone americano, la stazza protettiva di Adam Driver di contro all'esilità, solo apparente, di Alba Rohrwacher. Succede che si sposino e che arrivi un figlio. E lì cominciano i problemi, perché la madre vorrebbe imporre l'istinto che le viene dalla biologia, mentre il padre oppone la razionalità della scienza e della medicina. Così, il destino dell'infante s'intreccia con quello dei due fino alla deflagrazione finale. Torna al passato Mario Martone. E si carica di un'impresa non da poco, portare al cinema Giacomo Leopardi. L'intento diventa chiaro quando vedi Elio Germano che fa di tutto pur di somatizzare il poeta, gobbe, camminata, occhi strabuzzati, modo di scrivere, eccitazioni e assenze, timori, tremori e, soprattutto, la differenza che costituisce Leopardi rispetto a tutto quello che lo circonda, il padre, la madre, il prete, un'aristocrazia irrigidita nelle sue convenzioni, nerovestita come se fosse a lutto e rinchiusa nelle sue residenze o nell'immensa libreria della casa del poeta. Vive di questa contraddizione il film, Recanati e Napoli, il dentro dei palazzi e il fuori della vita, la rimozione imposta dall'educazione e la voglia di vivere e di amare, la condanna che viene dal corpo e un desiderio che non conosce limiti, se non il sogno e la disperazione, lo sguardo più spietato nei confronti dell'essere delle cose e dell'uomo che vi si trova gettato e condannato all'infelicità. Un controluce rispetto all'attualità, Leopardi come dinamitardo che si consuma nella vita e per la vita, monito per la nostra quotidianità infiacchita e volgarmente disillusa. Non basta. In altre sezioni della Mostra, sono apparsi altri due film a loro modo significativi. Salvatores ha chiesto agli italiani di mandargli una loro clip, in cui si raccontassero, e dal fiume che gli è arrivato ha estratto le tessere di un film - Italy in a day - che dura da mezzanotte a mezzanotte e mette insieme i momenti della giornata, dalla colazione alla preghiera, e le esperienze più diverse, l'imprenditore oltraggiato dal pizzo, il medico che cura in Iraq, giovani disoccupati, fidanzati che si sposano, vecchi senza memoria, studenti.. e su tutti, allo zenith, un astronauta che continua a girare con la sua navicella. Ecumenico e con la dignità che non cede alle avversità e alle sofferenze dell'attualità. Voleva darci una speranza? Ce la dà. Infine, Belluscone, una storia siciliana. Franco Maresco va dritto per la sua strada, con ironia dissacrante e lo sguardo su quelli che sembrano mostri, ma sono solo la perversione di una realtà rinchiusa nella claustrofobia di un ambiente che in questo caso si chiama mafia. Un montaggio ardito per tenere insieme tante cose - troppe? - e un fine dichiarato, svelare il retroscena dei rapporti tra Berlusconi e mafia. Nell'era renziana sembra un'ossessione arcaica. E' vero dobbiamo andare avanti, però una società matura e democratica non deve avere paura di un film. Si chiama libertà. [email protected]