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Il presidente anti slogan

Michele Cucuzza
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Bisognerebbe prestare più attenzione alle affermazioni del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Non solo in occasione del “Ventaglio”. Il Capo dello Stato è uno dei pochi leader che non si è rassegnato all'andazzo di liquidare con una frasetta aggressiva e inconcludente (salvo gettare benzina sul fuoco) le crisi e le emergenze che segnano i nostri giorni. Non è di moda, ma giustamente al nostro Presidente non importa nulla. Non solo perché glielo impone la carica che ricopre. Ma anche per indole, per cultura (giurista, si è formato nella Democrazia cristiana morotea) per esperienza, compresi i momenti più tragici, come l'assassinio mafioso del fratello Piersanti, presidente della Regione siciliana. Dispiace che la sua salita al Colle, avvenuta mentre naufragava il cosiddetto “patto del Nazareno” tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, abbia coinvolto nelle conseguenti polemiche politico-giornalistiche anche la sua figura e personalità, che qualcuno di parte avversa ha tentato (peraltro senza successo) di sminuire “a prescindere”. Diverso da Francesco Cossiga il “picconatore” e da Sandro Pertini istintivamente sintonizzato sugli umori degli italiani, Sergio Mattarella è stato giudicato a volte come troppo compassato, formale, poco comunicativo. In realtà il suo stile sobrio, misurato, risponde a una logica precisa, non solo istituzionale: il nostro periodo storico “impegnativo” - come il presidente Sergio Mattarella definisce i nostri giorni - ci impone di ragionare, lucidi, consapevoli, senza animosità, emotività, rabbia, materia buona per un post o per certi scontri in televisione. Non ce la si cava con così poco. Ascoltiamolo, allora, Mattarella nel recente discorso davanti a 300 ambasciatori, quello che tg e giornali hanno sintetizzato come la risposta alle minacce austriache di chiudere il Brennero e come replica severa ai duri dell'Europa dell'est che vorrebbero i profughi soccorsi sulle nostre coste confinati nelle isole italiane (“non c'è più spazio per le battute estemporanee, al limite della facezia”). In realtà, a fare attenzione, c'è molto di più. Indiretti ad esempio ma evidenti anche i riferimenti agli Stati Uniti di Donald Trump: “la sovranità nazionale” ammonisce il capo dello Stato Mattarella “non può essere usata come clava, il mondo non è un'arena” e ancora: “l'idea di autosufficienza è antistorica”, la stessa spinta al protezionismo “mette a rischio la crescita mondiale”. Di conseguenza, l'emergenza migranti non può che essere affrontata da tutta l'Unione europea in una “gestione autenticamente comunitaria, europeizzando accoglienza e sbarchi”. Perché questo si verifichi occorre “una discussione collegiale, seria e responsabile, un metodo di fermezza negoziale”, lo stesso usato da Roma con Bruxelles per risolvere il problema delle banche. Perché “o l'Europa riprende il suo cammino di integrazione oppure si condanna all'irrilevanza, all'inconcludenza”. Non un botta e risposta, insomma, quello esposto dal Presidente ma il perimetro all'interno del quale rivendicare solidarietà dai partner europei: si sta insieme coerentemente, non a intermittenza, quando fa comodo, pronti a polemizzare in modo includente. Si accolgono i vantaggi e si accettano gli oneri, insieme ci si impegna per le soluzioni. Una visione che non lascia margini a interpretazioni anche in Italia. E che non dovrebbe essere trascurata da nessuna parte politica, anche in vista dei prossimi mesi di campagna elettorale, per i quali in occasione del “Ventaglio” il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha invocato “un confronto politico serio, non slogan illusori”.