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Non offendere la memoria degli italiani

Michele Cucuzza
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Non va sottovalutata l'ondata di indignazione provocata dalla sentenza della Cassazione secondo cui bisognerebbe scarcerare o mandare ai domiciliari - visto il suo “scadimento fisico”, le sue “precarie condizioni di salute”, per garantirgli il “diritto a morire dignitosamente” - Totò Riina, l'attuale capo di Cosa nostra condannato a 17 ergastoli per tutti i più gravi delitti commessi dalla mafia dal 1969 al 1992, il boss che, sdraiato sulla barella, non si perde un'udienza del processo sulla “trattativa stato-mafia” ( in video collegamento dal carcere di Parma) e che a gennaio aveva detto che avrebbe risposto alle domande dei pubblici ministeri, ma poi ci ha ripensato. I primi a protestare sono stati i parenti delle vittime degli assassinii per i quali Riina è stato condannato: “una sentenza sconvolgente che mette in serio dubbio la mia fiducia nella giustizia” ha scritto su Facebook Rita Dalla Chiesa, figlia del generale dei carabinieri, prefetto di Palermo, ucciso nel capoluogo siciliano con la moglie e l'agente di scorta, per ordine di Riina e di tutta la cupola di Cosa nostra il 3 settembre 1982. “Mio padre, e i tanti che sono caduti per mano mafiosa, massacrati dai proiettili nelle macchine o sui marciapiedi” ha postato “non hanno avuto dignità nella morte. A cielo aperto, sotto gli occhi di tutti. Senza nemmeno un lenzuolo per coprire il loro ultimo dolore”. Una reazione che ha avuto immediatamente migliaia e migliaia di condivisioni, like e commenti: “anche noi che stimavamo tuo padre e gli altri eroi uccisi dalla mafia”, ha scritto Biancamaria Toccagni, “abbiamo sofferto increduli davanti a tanta barbarie. E oggi ci sentiamo traditi anche noi”. “Penso che abbiano ammazzato tuo padre per la seconda volta”, è il commento di Anna Maria Morelli. “Ho il pianto in gola, non si potrà mai dimenticare” ha aggiunto Margherita Caligiuri. “Onore a tuo padre” ha scritto Mauro Abeti, “il suo è stato il primo assassinio che mi ha fatto capire questo Paese”. E poi tanti e tanti altri ancora, a migliaia. Sono gli italiani che non dimenticano, che non si sono fatti travolgere dalla frenesia del “qui e ora”, senza storia né memoria che il web sembra a volte riuscire a imporre nell'illusione che il diritto di critica, la condanna, l'innocenza non possa che essere sinonimo di ignoranza. No, questa volta non è andata così. Ed è un fatto da tenere in grande considerazione: il nostro Paese non dimentica. Sa di dover fare i conti da decine di anni con la mafia, con le mafie, ricorda tutte le loro vittime e le onora come gli eroi che con la loro dedizione e il loro sacrificio hanno impedito che l'illegalità, la violenza brutale e l'intimidazione travolgessero istituzioni e convivenza, sono vicini a chi - oggi, tutti i giorni - continua a battersi per la sconfitta delle cosche e la difesa della nostra democrazia. Non è retorico sottolinearlo, come non è superfluo sottolineare che la detenzione - in certe situazioni particolarmente significative - ha un grande valore simbolico, che non può essere ignorato in nome del pur sacrosanto richiamo al diritto di chiunque a una morte dignitosa. Si può certamente curare e assistere con le dovute attenzioni chi è malato anche in carcere, come si è fatto per Provenzano. E' la memoria degli italiani, il sentimento di una comunità che si è espressa così nettamente in queste ore, che ha diritto di non essere offesa. Senza spirito di vendetta.