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L'importanza delle elezioni francesi

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Michele Cucuzza
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Perché (dobbiamo) interessarci alle elezioni francesi? “Non solo perché la Francia, con la Gran Bretagna, è il solo Paese europeo con l'atomica, fa parte del consiglio di sicurezza dell'Onu ed è la quinta potenza economica mondiale (seconda-terza in Europa)”, spiega Thierry Vissol, economista e storico di origine francese. “Ma soprattutto - aggiunge - perché Parigi è con Berlino il motore dell'Europa. Se la Germania e la Francia non si mettono d'accordo, in Europa non si fa niente. Non è detto che facciano sempre bene, di sicuro però sono loro a fare da locomotiva al resto dell'Unione”. Anche se globalizzazione, emigrazione, terrorismo hanno ridotto gli spazi di manovra di qualunque singolo leader: “Non c'è dubbio che nessun Paese da solo può pensare di modificare l'andamento globale. Questo però vuol dire che se non si fa un gioco cooperativo con gli altri, se non si fa più Europa e non meno, non si potranno superare le sfide della nostra epoca. Al contrario di quel che comunemente si pensa, la gente non ha più fiducia nei politici perché chi è al potere vuol fare da solo e naturalmente non riesce. Di qui la sfiducia nel sistema e nel valore della partecipazione e della scelta da parte dei singoli cittadini: in Francia, la cosa più sorprendente di questi giorni è la quantità di gente che nei sondaggi ammette di non sapere ancora oggi per chi votare. E, pure, l'affiorare del desiderio di un 'capo' che sia in grado di fare finalmente qualcosa. Ecco il rischio della deriva nazional-populista, malgrado i suoi esponenti, come Le Pen e Mèlenchon, facciano parte delle stesse élite contestate e non possano fare altro che occuparsi dei loro affari. Ovvio che la possibilità che un verdetto di questo tipo a Parigi darebbe ossigeno a prospettive simili negli altri Paesi europei. Risultato? Potrebbe essere a rischio la stessa democrazia ma soprattutto il benessere dei cittadini. Non si possono affrontare le sfide mondiali da soli: la Francia, l' Italia e tutti gli altri, presi singolarmente, sono dei nani. Che senso ha parlare di 'sovranità nazionale', se si lasciano senza nessuna legislazione internazionale di controllo le grandi multinazionali che pensano solo al profitto senza alcun obiettivo sociale, e - pure - i grandi flussi di speculazioni finanziarie sui mercati? Che possono fare da soli la Francia o l'Italia di fronte a un paese come la Cina, con un miliardo e 700 milioni di abitanti, in gara con gli Stati Uniti per il primato nell'economia mondiale?'” Una spinta importante a alzare barriere è dovuta ultimamente soprattutto alla crisi migratoria: “Vero. Senza sovradimensionarne la portata (sono 3-4 milioni i migranti arrivati nell'Europa che ha 500 milioni di abitanti) e senza dimenticare la grave crisi di natalità che il nostro continente avrà per decine di anni: sempre più pensionati e sempre meno persone in età lavorativa. In realtà l'emigrazione più che un problema potrebbe essere la soluzione del problema. A patto che la si sappia gestire: cosa che purtroppo non si sta verificando. Nei paesi dove c'è stata una vera politica di accoglienza, di formazione, di educazione, i migranti portano più soldi di quelli che ricevono. Naturalmente la loro integrazione deve voler dire anche educazione alla nostra civiltà, ai nostri valori, al nostro modo di intendere la cittadinanza”. Ma a Parigi come a Roma c'è ancora tempo per riflettere su questi temi, piuttosto che inveire? Domenica, in Francia, una prima risposta.