
Pakistan, due fratelli cristiani condannati a morte per presunta blasfemia

C’è un caso che, purtroppo, sta passando quasi inosservato nell’affannoso confronto internazionale. Ed è quello di due fratelli che, in Pakistan, vanno incontro ad una sentenza di morte per presunta blasfemia. L’Alta Corte, infatti, ha confermato la pena capitale, comminata in primo grado, per questi due uomini, cristiani, detenuti dal 2011, accusati di aver offeso l’Islam sul web.
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Al di là della sentenza in sé, che conferma la condizione dei diritti umani nel Paese musulmano, quel che rileva è la labile architettura di prove a carico dei gli ipotetici rei. L’Agi ha ricostruito in alcuni lanci tutta la vicenda. Si tratta di questo: un cittadino, musulmano, nel 2011 avvisa la polizia dell’esistenza di un blog che contiene materiale blasfemo, nelle cui pagine erano riportati anche indirizzo e numero di telefono del maggiore dei due fratelli, che da quel momento, a rigor di logica, potrebbe essere identificato come l’autore dei post. Entrambi gli uomini, quindi, vengono arrestati. Solo che c’è un particolare: non è mai stato accertato che quel sito fosse riconducibile a loro né che abbiano effettivamente pubblicato quei contenuti. In pratica, qualcun altro potrebbe aver caricato tutto in rete apponendo l’indirizzo dell’uomo per scaricare addosso a lui la colpa.
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Il Tribunale, in primo grado, ha utilizzato a discapito degli accusati il fatto che non si fossero rivolti all’amministratore del sito web per far cancellare l’indirizzo e il numero di telefono. Ma a rigor di strutture giuridiche e culturali proprie di qualsiasi società con un diritto evoluto ciò non può certo rappresentare una prova di colpevolezza. E allora compulsiamo l’ennesima vicenda persecutoria ai danni dei cristiani, di fronte alla quale quel mondo della politica e del pensiero liberale e popolare, che si richiamano a certi valori universali, non può rimane in silenzio.
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