
La guerra in Ucraina e il ritorno della cortina di ferro

Il ritorno della cortina di ferro
Con l'invasione dell’Ucraina Vladimir Putin sta facendo tornare velocemente indietro le lancette dell’orologio della storia.
Molti di noi ancora ricordano le immagini di quella notte tra il 9 e il 10 novembre del 1989 quando migliaia di persone cominciarono a saltare sopra il Muro di Berlino per ridurlo in pezzi. I più giovani le possono trovare immortalate su YouTube.
Quella data, per il mondo intero, simboleggia l’inizio di una nuova era. E il rischio è che quanto accaduto poco prima dell’alba del 24 febbraio 2023 si riveli, sulla strada della storia, una pietra miliare di identica portata. Ma con una direzione che ci spinge nel senso inverso.
Non sappiamo ancora quali saranno i reali effetti di questa guerra. Perché anche se condotta sul campo con un’operazione lampo e su vasta scala non è ancora conclusa. Ma è già chiaro che c’è un grande problema: che questo conflitto non si chiuderà neppure con il cessate del fuoco.
Fermate le armi finirà la guerra calda, quella condotta sul campo. Ma proseguirà quella fredda.
La caduta del muro di Berlino segnò proprio la fine della prima guerra fredda, che dalla fine del secondo conflitto mondiale aveva visto contrapporsi gli Stati Uniti con i loro alleati alla Russia con i suoi alleati.
Washington VS Mosca. Nato VS Patto di Varsavia. E il ritorno dell’egemonia russa sull’Ucraina segna l’inizio di una seconda guerra fredda i cui effetti si vedranno a breve.
L’Occidente sta varando le sanzioni, l’unica arma che ritiene efficace contro Putin, il suo alleato bielorusso Lukashenko e gli oligarchi russi che, come gli omonimi nell’antica Grecia, detengono il potere economico della madre Russia. Joe Biden, presidente Usa, e l’Unione europea minacciano che saranno pesantissime. Per ora, nei fatti, sui tesori dello zar e dei suoi amici di tutte le Russie, rischiano di avere gli effetti di colpi sparati a salve. O poco più. Anche perché c’è l’Europa che ha sete di gas. E il 40% di questo gas lo riceve proprio dalla Russia.
Davanti a tutti, quindi, con una mano si dà uno schiaffo e lo si accompagna con le minacce facendo la voce grossa; con l’altra, in privato, si porge il denaro e si implora, sottovoce, compassione.
Tutto questo mentre Putin porta avanti, senza veri ostacoli insormontabili, il suo piano per raggiungere l’obiettivo che non è solo mettere a tacere gli ucraini e tagliare loro le ali della libertà, ma è quello di ristabilire un fronte solido da contrapporre a un Occidente al quale si è accorto di aver concesso troppo spazio.
Ora, questa volontà del leader russo unita alle risposte che giungono e giungeranno da chi è contro di lui, avranno delle ripercussioni anche (e, probabilmente, soprattutto) nei Paesi che decideranno di applicare le sanzioni. E a farne immediatamente le spese saremo noi, semplici cittadini.
Gas, benzina, gasolio, energia elettrica: i prezzi da 48 ore sono già balzati alle stelle. Anzi, in alcuni casi, sono andati perfino oltre le stelle, perché queste le avevano già raggiunte in precedenza. E presto si innesteranno reazioni a catena che colpiranno inevitabilmente tutti i beni di qualsiasi categoria di necessità
Gli ordini commerciali e di produzione che erano in atto con Russia, Ucraina (e non solo) si sono improvvisamente fermati in attesa di capire i reali effetti delle sanzioni. E le imprese andranno in sofferenza.
I turisti che si preparavano ad arrivare dalla Russia ridando vita a un flusso che, per l’Italia rappresentava un introito di rilievo (emblematico il fatto che nella segnaletica dei nuovi terminal di Fiumicino il russo ormai ha preso il posto, sostituendolo, delle scritte in francese e il cinese quello dello spagnolo) hanno annullato le partenze. Non c’è, più, neppure la certezza che le frontiere, nei due sensi, restino aperte in futuro.
I territori del nostro Centro Italia stanno già subendo danni pesanti e ne subiranno ulteriormente. L’Umbria ha un export con la Russia che vale 107,5 milioni. Altri 10 con l’Ucraina.
Le esportazioni della provincia di Siena, verso gli stessi due Paesi, valgono17 milioni. Quelle di Arezzo 39,7 milioni. E anche le province di Viterbo e Rieti vantano quote consistenti. Enogastronomia, ceramica, turismo rischiano la batosta più forte, ma non sono gli unici settori che costituiscono gli scambi commerciali con i Paesi oggi in guerra.
C’è da tener conto, poi, che se l’Unione europea riuscisse a trovare un qualche altro rimedio a quella sete di gas che, per ora, la spinge a non rompere su tutti i fronti con Mosca, la situazione potrebbe inasprirsi rendendo sempre più lontano il ritorno di un dialogo e di un libero mercato con i russi.
Quello a cui stiamo assistendo, insomma, non è solo l’invasione di un Paese indipendente. Ma è il ritorno di due mondi contrapposti. Il ritorno, nei fatti, di quella cortina di ferro che ci illudevamo di aver sbriciolato nel novembre del 1989.
Probabilmente l’Ucraina, anche se invasa, non diventerà parte integrante della Russia. Ma, per volontà di Putin e per le risposte, comunque inevitabili, dell’Occidente, sta nascendo una nuova linea di confine, invisibile, ma marcata tra due differenti vaste aree di influenze politiche ed ideologiche.
Resta solo da capire quanto sarà realmente alta questa nuova cortina.
La globalizzazione e l’apertura mentale, soprattutto delle nuove generazioni, sono le uniche cose che potrebbero fare la differenza. Speriamo.
Sergio Casagrande
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