Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Terza guerra mondiale? La Cina è l'ultimo punto di equilibrio

Sergio Casagrande
  • a
  • a
  • a

Qualcuno, ora, sostiene che c’è il forte rischio di una terza guerra mondiale. E ha ragione. Dalla fine della seconda ci sono state altre occasioni che ci hanno portato sull’orlo di un conflitto di proporzioni planetarie. Ma questa volta  abbiamo già una gamba protesa al di là del baratro.
La decisione di Vladimir Putin di sferrare un’operazione lampo e su vasta scala per invadere l’Ucraina, con la scusa di garantire l’indipendenza delle repubbliche del Donbass (riconosciuta unilateralmente solo dalla Russia), ha effettivamente acceso la miccia.
Tuttavia la santabarbara non è ancora deflagrata. Perché la vera polveriera che potrebbe far saltare in aria tutto e spingerci dentro una nuova guerra mondiale non è in Ucraina. E neppure in Europa. A meno che la Russia non attacchi ora anche un Paese della Nato, è in Asia. A Taiwan, nelle cui acque del mare che la circonda e subito dopo il via agli attacchi da parte della Russia all’Ucraina, la Cina ha inviato le sue navi militari.
Taiwan sta alla Cina, come l’Ucraina sta alla Russia.
Pechino, infatti, nei confronti dell’isola di Taipei ritiene di avere le stesse identiche ragioni che Mosca rivendica sul Donbass. E il timore è che decisioni come quelle prese da Putin possano ora essere assunte anche da Xi Jinping. Senza contare che ci sono anche altri leader e altri Paesi che potrebbero cogliere l’occasione per tornare a far sentire le loro ragioni con la volontà di risolvere contenziosi che si protraggono da decenni: vedi, per citarne solo alcuni, la Corea del Nord con quella del Sud; la Turchia con Cipro per la sovranità dell’isola e con la Grecia per i giacimenti sottomarini; o il Marocco con il Sahara Occidentale.
Se la situazione, quindi, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, non finirà per scatenare una serie immediata di reazioni a catena, il mondo è ancora in tempo per evitare un conflitto di portata planetaria e riportare indietro quella gamba che ha varcato la soglia del baratro. Ma l’ago della bilancia diventa la Cina. Se l’ago si sposta crollerà inevitabilmente l’ultimo punto di equilibrio.
Intanto, con le sue decisioni di riconoscere l’indipendenza del Donbass e il conseguente passaggio alle armi, Putin - ma non si sa ancora per quanto - è isolato. Solo la Bielorussa, o meglio, solo il presidente della Bielorussia, Aljaksandr Ryhoravi Lukashenko, si è espresso a suo favore. E lo ha fatto più che altro per il bisogno di avere un alleato forte che salvi la sua traballante poltrona. Mentre, a sorpresa, a prendere le distanze c’è stato perfino il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che alla vigilia in molti pensavano potesse essere il primo a schierarsi al fianco della Russia.
Solo Pechino sta ancora a guardare, ma i suoi occhi ora non sono più puntati su quello che fa Mosca, ma su come reagirà l’Occidente. Non tanto per vedere se la nostra risposta sarà militare o - com’è più probabile - soltanto economica, ovvero sanzionatoria. Ma per osservare se e quanto sarà compatta e determinata.
Una nuova guerra, insomma, è iniziata. Ma per capire quale sarà realmente la sua portata e il suo impatto sul resto del mondo bisogna attendere gli sviluppi dei prossimi giorni. 
Con il passaggio di Mosca all’uso delle armi, entrano in gioco nuovi equilibri sia per l’Unione Europea che, ancora lacerata, si trova una guerra alle porte, sia per gli Stati Uniti che, anche se abbaiano, dopo la ritirata dall’Afghanistan sembrano aver perso la voglia di mordere. E c’è una Russia che, seppur industrialmente meno potente del passato, ha concentrato tutti i suoi sforzi degli ultimi venti anni sul settore militare potendo ancora contare su risorse che potrebbero renderla per decenni indenne a qualsiasi sanzione. E una Cina che, anch’essa da sola, di qualsiasi sanzione se ne potrebbe perfino fare un baffo perché è lei che può condizionare direttamente buona parte dell’economia del pianeta.
In un quadro del genere non ci sarebbe neppure nulla da meravigliarsi se un giorno si scoprisse che l’Ucraina è finita per essere soltanto una vittima sacrificale di questo conflitto.

Sergio Casagrande

[email protected]

Twitter: @essecia