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Carta a peso d'oro all'ex Fabbrica d'armi, 17 euro per un rotolo: è bufera

Antonio Mosca
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Diciassette euro per un rotolo di panno carta: una cifra che farebbe sobbalzare anche la massaia meno accorta. E invece è quanto avrebbe sborsato il ministero della Difesa per conto del Pmal, acronimo che sta per Polo di mantenimento delle armi leggere, in pratica l'ex Fabbrica d'armi. La notizia, nel pieno della spending review e con gli enti pubblici sempre più nel mirino, ha sollevato un immancabile polverone. Eppure è quanto risulta dalla gazzetta ufficiale del 2 gennaio scorso. L'appalto sarebbe stato affidato per un importo di 34.300 euro, Iva esclusa, per una partita di 2.000 rotoloni. In poche parole 17 euro l'uno. La gara ad evidenza europea avrebbe visto la partecipazione di un solo concorrente che avrebbe praticato uno sconto di 6.000 euro sul prezzo base. Nella sede di viale Brin, che da settembre è retta dal colonnello Ezio Vecchi non si parlava d'altro. Tanto che è subito partita una nota di spiegazioni al ministero della Difesa, un rapporto articolato in cui si ripercorrono le tappe che hanno portato all'appalto e si escludono categoricamente sprechi di denaro pubblico. D'altra parte la stessa Corte dei conti aveva seguito tutta la procedura senza trovare nulla da ridire. Insomma non ci sarebbe nulla di anomalo e, men che mai, di illecito. Ma all'ex Fabbrica d'armi non accettano neanche censure di tipo morale. Non si tratta di carta Scottex, ma di un prodotto con delle carettirstiche tecniche molto particolari. Un panno in pura cellulosa destinato alla pulizia delle armi impiegate fuori area, vale a dire nelle missioni di peacekeeping sparse in tutto il mondo: aree ad altissima tensione, come l'Iraq, l'Afghanistan o il Libano, dove le armi dei nostri militari sono sottoposte a stress elevatissimi anche in ragione delle forti escursioni termiche. Proprio per questo non si possono usare normali rotoli di carta. E' come - mormorano in viale Brin - se si volesse usare il motore di una Fiat Uno in un carro armato. Ma c'è di più perché il Pmal non ha scelto il fornitore a caso, ma dopo avere indetto una gara a livello europeo e dopo che, già nel 2013, era stata eseguita una ricognizione ad ampio spettro tra i prodotti innovativi e più a basso costo. In più si fa notare che il numero dei rotoli richiesti è il minimo necessario per le esigenze dei reparti impegnati nelle aree di crisi e soltanto per quelle armi utilizzate in particolari teatri operativi. Insomma si sarebbe trattato solo di un equivoco e nulla di più. Intanto, però, la polemica è scoppiata, aggiungendosi al clima non certo idilliaco che si vive nell'azienda di viale Brin che, con circa 350 lavoratori, oltre al personale militare, è il secondo sito industriale della città. Le preoccupazioni non mancano tanto che, nei giorni scorsi, tutto il consiglio comunale aveva approvato un atto d'indirizzo proprio per chiedere di salvaguardare l'attuale organico e di promuovere, tramite il ministero della Difesa, un ricambio occupazionale tale da coinvolgere nel ciclo produttivo del polo nuova forza lavoro.