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La Cgil sempre più relitto ideologico. Stavolta è il turno di Salvini (che non si spaventa)

Francesco Storace
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C’è un non so che di impazzimento nella parte (minoritaria) del Paese che odia il governo. Persino nelle organizzazioni che rappresentano il mondo del lavoro pare perdersi il lume della ragione. Un tempo furono riconosciute come la barriera a favore dello Stato contro il terrorismo, ora si trasformano in rivoltosi senza senso.

È il caso di una Cgil che è sempre più allo sbando. Il livore verso l’esecutivo fa davvero stropicciare gli occhi. Passi per la passeggiata di Firenze, con tanto di cori anti-italiani con l’alibi di un antifascismo fuori dal tempo; ma che ci si metta ad insultare – da prassi quotidiana – i singoli ministri è davvero qualcosa di incredibile.

È successo a Matteo Salvini non appena ha messo piede a Bologna, dove tra l’altro andava ad incontrare i militanti locali della Lega. E si è trovato accolto da manifesti davvero osceni: “Ministro della disumanità”, una cosa assolutamente incredibile.

Ma dove vogliono arrivare? È sempre più un sindacato che fa politica anziché difendere i lavoratori, che poi sarebbe la sua ragione sociale.

Il sindacato è ormai molto più distratto da altri obiettivi. Landini ha incassato la marcia a braccetto di Elly Schlein e Giuseppe Conte e pensa di aver soddisfatto i suoi associati. Che invece vorrebbero veder aperti semmai i tavoli di confronto col governo su tematiche più sociali che ideologiche.

Invece si punta sullo scontro politico, si indossa la casacca di partito, si dimenticano le questioni che più stanno a cuore a chi lavora: lo sa Landini quanti danni hanno prodotto le politiche economiche dei governi di sinistra?

Sa che se di qui a qualche anno non avremo altri disoccupati nell’industria automobilistica lo si dovrà invece alla fermezza del centrodestra in Europa? E che finalmente si può tornare a parlare di politiche sociali in Italia?

Macchè, Landini preferisce giocare sull’ideologia. Ma non serve a nulla. Nemmeno a spaventare Salvini.