
Un 41 clic per Saviano. Che torna a processo per gli insulti a Salvini

Ci vorrebbe un 41 clic per Roberto Saviano. Sta sempre ad insultare chi non gli aggrada e se lo trascinano in tribunale si mette a piagnucolare contro il regime che non gli vuole bene.
Ma è normale definire un esponente politico – Salvini al Viminale – come “ministro della malavita” e pensare di farla franca?
L’impunità come privilegio da garantirgli, sembra essere ciò che pretende lo scritto che in queste ora dovrà sottoporsi a giudizio per una definizione oggettivamente infame.
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“Fiero di difendermi dall’orrore di questa politica populista”, ha tuonato su twitter sperando di catturare frotte di fan pronti a difenderlo ovunque. Ma ormai ha stancato con le sue litanie e la solidarietà non è più quella di una volta.
Anche perché Saviano non va a processo perché lo ha voluto Matteo Salvini. A decidere che debba rispondere di un reato non è il leader della Lega, che ha solo il potere di denunciare come chiunque tra noi; bensì la procura della Repubblica e poi il tribunale. Perché si tratta di un processo vero e proprio, non più una tarantella letteraria.
Se prima attacchi la premier, poi te la prendi con Salvini, non è che puoi pensare che tutto ti sia concesso, caro Saviano, e forse è meglio dedicarsi a scrivere qualche favoletta per bambini.
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Questa storia per cui ci debba essere libero insulto non sta in piedi. Non significa certo negare il diritto di critica, ma proprio chi si guadagna da vivere con le parole dovrebbe conoscerne bene il significato.
Ministro della malavita è espressione pesante, soprattutto se adoperata contro chi stava a garantire gli italiani proprio dalla malavita. Usarla, vuol dire far male, indicare come nemico il ministro, paragonarlo alla delinquenza. È un’opinione o un insulto?
Ecco, qui sta la riflessione, che fa il paio con quel “bastardi” per cui deve rispondere in un altro processo quando utilizzò quel termine contro Meloni e Salvini. Si dia una calmata, Saviano, e magari non lo processerà più nessuno.
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