Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Mattarella, il presidente premier. Ora il Parlamento dovrà adeguarsi

Francesco Storace
  • a
  • a
  • a

Due Papi non bastano. Ora abbiamo due premier, uno sta ancora a Palazzo Chigi, l’altro starà per sette anni al Quirinale. Gli applausi dedicati a Sergio Mattarella dal Parlamento sembravano fischi a Mario Draghi.

Perché in fondo quella che ora viene chiamata agenda Mattarella – dai partiti, mica da passanti – è un cambio di orizzonte rispetto a quello che sta facendo l’esecutivo in carica.

L’insistenza sui temi del lavoro – mortificato anche sulle scelte in tema di green pass – è indicativa. Il precariato resta un ostacolo insormontabile per i giovani, la sicurezza nei cantieri e in generale nei posti di lavoro qualcosa di irraggiungibile.

Tutti hanno raccontato le parole del Presidente sulla giustizia e non è da ritornarci sopra. Piuttosto sta al governo muoversi con sollecitudine per offrire riforme davvero serie alla Camere per sciogliere i troppi nodi che negano efficienza al sistema.

Ma quel che ha colpito la fantasia di molti è stato il riferimento del Capo dello Stato ai poteri sovranazionali. No, si riferiva al Grande Fratello, ma a una finanza spericolata che mette a rischio gli stessi processi democratici.

Di qui la considerazione presidenziale sui metodi da osservare nel processo legislativo, a partire dai decreti del governo. Non si può più osservare l’impossibilità del Parlamento a legiferare con attenzione, stante il numero elevatissimo delle questioni di fiducia e il contingentamento sempre più stringente dei tempi di discussione dei provvedimenti. Inclusi quelli più importanti per l’economia come la recente legge di bilancio.

La democrazia si ciba di regole e di tempi. E se è vero che c’è necessità di misure da adottare in tempi rapidi, questo – ha in pratica detto Mattarella – non può avvenire a dispetto delle Camere.

Chi propugna una nuova agenda politica non potrà prescindere dalle considerazioni del Presidente, su cui il Parlamento si è sperticato in applausi. Una volta tanto alle parole si auspica che seguano davvero i fatti.