
Conte si crede ancora premier e vuole far fuori il ministro Cingolani. E Draghi?

A che titolo? Nel dormiveglia di un Palazzo che fatica a riaprire i battenti postferiali, non sono pochi a chiedere lumi sull’ennesimo schiaffo a quella forma che in politica e nelle istituzioni è sostanza. E anche se tutto è accaduto attorno alle giornate di Ferragosto non è un motivo per mettere sotto silenzio l’incredibile sgarbo del nuovo capo pentastellato. Perché è vero che la forma è sostanza, a meno che non sia vero al tempo di Mario Draghi con le chiacchiere sulla concretezza. Ma è passata quasi sotto silenzio sulla stampa l’ultima di Giuseppe Conte, che si è permesso il lusso di “convocare” il ministro della transizione ecologica, Cingolani. “Dobbiamo parlare a quattr’occhi”, gli ha fatto sapere a mezzo stampa e già questo fa a pugni con la tradizione delle istituzioni repubblicane.
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Il governo come sezione di partito, con i membri dell’esecutivo chiamati a rapporto dal Capo che li ha voluti al loro posto. Non per un confronto sulle idee da rappresentare all’Interno del Consiglio dei ministri - che ci starebbe pure - ma per una reprimenda annunciata urbi et orbi. Stupisce che il premier se ne sia rimasto zitto di fronte ad una forzatura istituzionale nella quale Conte è arrivato persino a indicare il giorno del giudizio: il 14 settembre. Cingolani sarà giustiziato dall’avvocato del popolo pentastellato? Che cosa dobbiamo aspettarci in quella giornata davvero inusuale nell’agenda di un governo che dovrebbe farsi rispettare da tutti?
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Probabilmente Conte non si rende neppure più conto di non essere più a Palazzo Chigi e si cimenta in figure davvero ridicole, magari suggerite da chissà quale nuovo consigliere. Ma resta tutto inaccettabile e c’è da giurare in nuove polemiche. Il premier in carica non potrà tacere. Perché Conte non “convoca” Cingolani per fargli i complimenti; bensì per imporgli una robusta correzione di linea nella gestione del suo ministero. E Draghi che ci sta a fare?
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