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Covid, Figliuolo lascia il ruolo di commissario all'emergenza: un trionfo di fatti e dati

Pietro De Leo
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Spesso l’immaginario collettivo si consegna a delle istantanee a rischio di scadere nella banalità. E’ il caso, ad esempio, del Mr Wolf, il risolutore di problemi del film Pulp Fiction. E’ lì che va la mente, quando si cerca l’uomo della provvidenza. Ma le banalizzazioni nascondono sempre una forma di semplificazione. E sarebbe ingiusto chiedere in quel recinto Francesco Paolo Figliuolo, il commissario all’emergenza che tra poche ore lascerà l’incarico.

 

 

Chiamato in servizio dal governo Draghi, stante l’affanno di una campagna vaccinazione che stentava a partire con il suo predecessore, Domenico Arcuri. Ha garantito quel che serve a rincuorare nell’epoca delle immagini. La discontinuità visiva. Ecco, quindi, passati all’impatto della divisa da Alpino, le mostrine delle campagne in bella vista, che subito gli alienò le antipatie radicalchic, quel mondo antimilitarista che, però, quanto a cannoneggiamenti sul lato ideologico non si risparmia mai. Senza sprezzo del pericolo di fronte al superfluo. Laddove perdevano le parole, però, trionfavano i fatti e i dati. Via le primule ideate da Arcuri, utopici centri la cui istallazione nei comuni italiani avrebbe richiesto tempi troppo lunghi, e dentro la capillarità, con gli hub messi un po’ ovunque: hotel chiusi, sedi di associazione, persino fabbriche. E quelle cifre sulle iniezioni che andavano su, giorno dopo giorno, fino a sforare quota mezzo milione di iniezioni.

 

 

Si riassumeva, in Figliuolo, la più recente divisione manichea maturata nel nostro Paese: sì vax contro no- vax. Salvatore per i primi, incarnazione della “dittatura sanitaria”, e suo esecutore più prossimo al cittadino comune, per i secondi. Difficile che, in questa logica, Figliuolo non pigliasse il trampolino dei mainstream. L’imitazione di Crozza (che ne esasperava la “r” moscia e qualche inciampo con gli accenti posizionati sulla sillaba sbagliata). Le ospitate da Fabio Fazio, e da ultimo il libro con Beppe Severgnini. Quell’essere sul confine, teso come un filo, tra lotta al nemico pubblico numero uno, ossia il Covid, e la società dello spettacolo. Che l’altro volto del lato della scienza, ossia i virologi, hanno oltrepassato inebriandosi nei fumi della celebrità. Figliuolo, invece, poco poco. Meglio per se stesso. E soprattutto per noi.