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Aziende apri e chiudi per non pagare le tasse: 29 arresti in Toscana, sequestrati 40 milioni di euro

Christian Campigli
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Aprivano un'azienda, la intestavano a dei prestanome, non pagavano né tasse né tanto meno i fornitori, accumulavano debiti e poi chiudevano l'attività. Per poi ricominciare da capo con una nuova testa di legno. Blitz della guardia di finanza che, questa mattina, ha arrestato ventinove persone, nelle province di Firenze, Arezzo, Prato, Grosseto, Rovigo e Vibo Valentia, ritenute, a vario titolo, responsabili di un'associazione criminale e della commissione di reati fallimentari e tributari, nell'ambito dell'operazione “A Solis Ortu”. Le fiamme gialle hanno anche provveduto al sequestro di ingenti patrimoni per oltre quaranta milioni di euro. Si tratta di ventiquattro imprenditori cinesi, finiti al momento ai domiciliari e cinque professionisti di uno studio associato con sede a Sesto Fiorentino, che forniva consulenze alle imprese coinvolte nell'inchiesta, raggiunti dalla misura della custodia cautelare in carcere. Un'altra persona è stato sottoposta all'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.

 

 

Gli orientali arrestatati sono considerati dai militari e dalla magistratura i titolari di oltre ottanta ditte, che operano nel settore della produzioni di articoli di pelletteria. Attraverso il cosiddetto meccanismo “apri e chiudisi sottraevano sistematicamente al pagamento delle imposte. Ma gli investigatori, nel corso di lunghi mesi di indagine, sono riusciti a venire a capo anche di numerosi prestanome, che al momento sono indagati. Questa mattina gli uomini in divisa hanno portato a termine decine di  perquisizioni, soprattutto nel distretto cinese fiorentino e pratese. Sempre nell'ambito delle indagini, coordinate dal procuratore aggiunto Luca Tescaroli e dal pubblico ministero Fabio Di Vizio, la procura di Firenze ha proposto istanza di fallimento per diciannove imprese, di cui sedici sono già state dichiarate fallite per i rilevanti debiti erariali accumulati negli anni, quantificati in oltre dieci milioni di euro. Le aziende avevano una vita media di tre anni. Il tempo necessario per guadagnare un discreto gruzzoletto e, al contempo, accumulare un consistente debito con l'erario.

 

 

Le tasse, in buona sostanza, non venivano mai pagate. Spesso si trattava di ditte individuali, aperte con procedura e adempimenti semplificati rispetto ad altre forme giuridiche societarie, che si succedono in sequenza, nel tempo, nei medesimi luoghi e con le stesse attrezzature e nelle quali non si ha coincidenza tra l’imprenditore formalmente individuato, spesso irreperibile all’attivazione dei controlli ispettivi, e quello reale, apparentemente del tutto estraneo all’impresa o talvolta inquadrato come semplice dipendente di essa. Quando arrivavano le prime cartelle esattoriali, la ditta chiudeva, facendo perdere le proprie tracce. O almeno questo era il convincimento degli imprenditori cinesi arrestati oggi dalla guardia di finanza. E dei loro consulenti fiscali. Un gioco sporco nel quale perdevano tutti, tranne gli orientali. Una lente di ingrandimento, quella della guardia di finanza, indispensabile per rompere un circuito illegale e malavitoso assai diffuso nella periferia settentrionale di Firenze e nel centro di Prato.