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Davigo indagato a Brescia: rivelazione del segreto d'ufficio sul caso dei verbali di Amara e la "loggia Ungheria"

Christian Campigli
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Uno dei simboli di Mani Pulite. Scontroso, mai banale, al centro di mille polemiche. È un vero tornado quello che travolge uno dei magistrati, seppur in pensione, più famosi d'Italia. L'ex consigliere del Csm Piercamillo Davigo, ex pm del pool Mani Pulite è indagato a Brescia per rivelazione del segreto d'ufficio.

 

 

Secondo la tesi accusatoria, ad aprile 2020 il pubblico ministero Storari avrebbe consegnato al braccio destro di Antonio Di Pietro dei verbali segreti che, da dicembre 2019 a gennaio 2020 il plurindagato Amara, ex avvocato esterno dell'Eni, aveva reso su un'associazione segreta, denominata Ungheria. Controverse dichiarazioni che per Storari andavano chiarite rapidamente. I documenti segreti vennero dati a Davigo in formato Word, e contenevano una serie di rivelazioni dirompenti sull'associazione Ungheria, una loggia segreta, che avrebbe deciso trasferimenti, nomine e sanzioni a carico dei magistrati. Una sorta di gabinetto all'interno del quale si decidevano le carriere di pubblici ministeri e dei giudici. E, di conseguenza, si indirizzano, più o meno direttamente, i processi. Soprattutto quelli che avevano come protagonisti soggetti politici importanti. Un'ipotesi che, se confermata, potrebbe avere un impatto deflagrante, perché andrebbe a minare non solo l'indipendenza del terzo potere, ma soprattutto distruggerebbe la fiducia che i cittadini devono avere nel potere giudiziario. Lo scorso 11 maggio davanti alle telecamere della trasmissione televisiva “Di Martedì”, Davigo spiegò che Storari gli aveva “segnalato una situazione critica e dato il materiale necessario per farmi un'opinione, dopo essersi accertato che fosse lecito. Io spiegai che il segreto investigativo, per espressa circolare del Csm, non è opponibile al Csm”. Circa l'impasse in Procura a Milano, per Davigo il problema era “che, quando uno ha dichiarazioni che riguardano persone in posti istituzionali importanti, se sono vere è grave, ma se sono false è gravissimo: quindi, in un caso e nell'altro, quelle cose richiedevano indagini tempestive. Mi sembrava incomprensibile la mancata iscrizione”. L'ex pubblico ministero di Mani Pulite ne aveva parlato, “in misura e in momenti diversi, quantomeno al vicepresidente del Csm Ermini, agli altri due membri del Comitato, il procuratore generale e il presidente della Cassazione, Giovanni Salvi e Pietro Curzio. Nonché (per spiegare i propri raffreddati rapporti con il consigliere Ardita evocato da Amara) ad alcuni consiglieri Csm e all'onorevole Morra, presidente dell'Antimafia”.

 

 

Davigo era tornato al centro del dibattito pubblico quando, la scorsa settimana, si era espresso in maniera molta critica nei confronti dei quesiti referendari proposti da Lega e Radicali. E che toccano, nel vivo, la struttura organizzativa della magistratura italiana. Ora questa indagine, sulla quale è indispensabile venga fatta chiarezza al più presto. Per l'onorabilità di uno dei simboli di Tangentopoli. Ma soprattutto per la fiducia incondizionata che i cittadini devono avere nei giudici. Sempre.