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Funivia Mottarone, la procuratrice sconvolta: "I tre arrestati hanno preferito il guadagno alla sicurezza"

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Altro che fatalità. Il guasto c'era da settimane e quella funivia ha rischiato di cadere già da tempo. Questo il quadro dell'indagine sulla tragedia del Mottarone che ha portato ai tre arresti mercoledì 26 maggio. Il cavo trainante spezzato è "l’innesco della tragedia" sulla funivia del Mottarone, ma poi c’è un comportamento "consapevole e sconcertantedi chi ha preferito il guadagno alla sicurezza. Il procuratore di Verbania Olimpia Bossi è provata non solo per i lunghi interrogatori che hanno portato al fermo di un ingegnere, di un capo operativo e del gestore della funivia Luigi Nerini, ma anche dalla scoperta che per settimane chiunque ha messo piede su quella cabinovia era a rischio. Una scelta "molto sconcertante" quella che i tre - ora in carcere per un quadro indiziario ritenuto "grave" - hanno portato avanti pur di evitare una riparazione adeguata del sistema frenante che probabilmente avrebbe portato a una lunga chiusura dell’impianto, le cui casse erano state messe già a dura prova dal lockdown.

 

 

"Abbiamo potuto accertare, in particolare dall’analisi dei reperti fotografici, che la cabina precipitata presentava il sistema di emergenza dei freni manomesso, cioè non era stato rimosso o meglio era stato apposto il forchettone che tiene distante le ganasce dei freni che avrebbe dovuto bloccare il cavo in caso di rottura", spiega il procuratore. Un malfunzionamento che i tre ignorano - c’è un intervento il 3 maggio scorso, ma poi si chiudono gli occhi di fronte ad altre spie iniziate fin dalla riapertura del 26 aprile - con la "convinzione che mai si sarebbe tranciato il cavo".  La manutenzione di maggio avrebbe risolto solo in parte il problema quindi per evitare ulteriori interruzioni del servizio, i tre hanno scelto di aggirare le norme e impedire al freno d’emergenza di entrare in funzione.

 

 

Così poco prima di mezzogiorno di domenica 23 maggio quell’inerzia sulla sicurezza costa la vita a 14 persone. I tre devono rispondere di omicidio colposo plurimo, lesioni colpose nei confronti di un bambino (unico sopravvissuto) rimasto gravemente ferito e di rimozione od omissione dolosa di cautele - punisce chi omette di collocare strumento destinati a prevenire infortuni - aggravata se dal fatto deriva un disastro, come in questo caso. Il numero degli indagati sembra destinato a crescere a breve. L’inchiesta deve ora cercare di appurare anche perché quel cavo si è spezzato, dando il via al primo passo di una tragedia che poteva essere evitata.