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Risparmi in fumo, chiesti 4 anni per il broker

Il pubblico ministero Giuseppe Petrazzini

Roberto Minelli
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Era il giorno delle requisitorie finali. Lunghe e ricche di colpi di scena. Che in attesa delle eventuali repliche e della sentenza di martedì 23 febbraio, hanno portato ad una richiesta di condanna da parte del pubblico ministero Giuseppe Petrazzini a quattro anni di reclusione (e 1200 euro di multa) per il broker. E a due anni e due mesi nei confronti del direttore di filiale della banca (più mille euro). Entrambi accusati di truffa in concorso. Ma sulla triste vicenda, nella quale le parti offese sono i tanti risparmiatori raggirati dal furbo “promotore” e dal direttore di filiale stesso, aleggia inesorabile la prescrizione. Che potrebbe “materializzarsi” nel giro di poco tempo, facendo scatenare procedimenti civili. Ma andiamo ai fatti, ripercorsi in aula nel corso delle varie arringhe davanti al giudice Internò. Alla presenza proprio delle numerose persone rimaste “con un pugno di mosche in mano”. Professionisti, commercianti ma anche semplici pensionati convinti che quel consulente finanziario avrebbe di colpo fatto lievitare i loro soldi, i risparmi di una vita, attraverso investimenti seri e soprattutto sicuri. Ma alla fine le loro speranze sono andate deluse, visto che quelle ingenti somme (si parla di oltre un milione e mezzo di euro) si sono come volatilizzate. Con quella rabbia montata nel tempo che anche questa volta ha fatto rotta sul palazzo di giustizia. Tutto si sarebbe consumato ad inizio 2000 fino al 2009, con i raggiri prodotti in più località del Perugino. E venuti alla luce solo dopo la denuncia presentata da un risparmiatore. “Avevo messo nelle sue mani tanto denaro - aveva riferito - per acquistare delle azioni ad un prezzo competitivo e che in breve tempo mi avrebbero garantito una importante rendita. Somme poi distratte per altri fini”. Da qui è scattata l'inchiesta. Con responsabilità a dir poco schiaccianti ipotizzate nel ricco capo d'imputazione. Con l'accusa che senza troppi giri di parole parla di “artifici e raggiri, consistiti nel promettere e garantire una redditività elevatissima”. A processo insieme al 46enne originario di Taranto ma da molti anni residente in Umbria (che ha fatto perdere le sue tracce) c'è come detto anche il direttore di filiale. Che, sempre secondo la pubblica accusa, avrebbe agito in concorso con il consulente in questione “agevolando alcune operazioni presso il suo istituto, come conti correnti e assegni”. I due imputati sono difesi dai legali Masotti e Vesi, mentre i risparmiatori ingannati sono rappresentati dagli avvocati Zaganelli, Maziotta, Uccelli e Maccaroni.