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L'Umbria delle ferrovie

Leonardo Caponi

Leonardo Caponi
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Presentando il piano industriale di Fs, l'amministratore delegato del gruppo ha citato l'Umbria come esperienza positiva e ipotizzato la possibilità di un potenziamento della Fcu per i collegamenti rapidi con Roma. Con tutto il rispetto, sembra che l'ad di Fs viva in un altro mondo. Le sue affermazioni, invece che essere lusinghiere e far ben sperare, sembrano gettare un'ombra financo sulla sua conoscenza dell'ente che dirige e, conseguentemente, sulla effettiva credibilità dei programmi che ha presentato per l'Umbria e per l'Italia. La rete ferroviaria umbra si trova in uno stato di decadenza, lentezza, inefficienza esasperanti. Che ci si può aspettare di buono da uno che la rappresenta come, scrivono i giornali, un “buon esempio di intermodalità”? E, dalle altre parti d'Italia, che succede? E che dire poi dell'abissale distacco tra l'Fcu immaginata e quella attuale? La verità pare un'altra; il 70 per cento del business che si prevede di realizzare con l'investimento di quasi 100 miliardi nel prossimi dieci anni sarà al di fuori di quello tradizionale (e si potrebbe dire “di istituto”) ferroviario. Le Fs contano di entrare massicciamente nel campo della “gomma”: è previsto l'acquisto di 3mila autobus, l'acquisizione di una quota molto importante del mercato del trasporto pubblico locale su gomma e addirittura, scrivono ancora i giornali, una non meglio specificata forma di fusione (presumibilmente attraverso qualche società del gruppo) con Anas per dedicarsi alla costruzione di arterie stradali. Insomma le Fs cambiano completamente volto. In che senso? E, proprio qui sta il punto. Formalmente il Piano industriale dichiara di contenere anche un impegno per la rete ferroviaria regionale e interregionale; ma niente può togliere di mezzo un'impressione esattamente opposta. Cioè che si accentuerà la tendenza già in atto di investire sull'alta velocità e solo su quella, sostanzialmente abbandonando il resto della rete. Che possa essere questa la risposta al recente tragico incidente di Puglia, che è costato molte vittime innocenti, suona quasi incredibile. Le ferrovie italiane avrebbero bisogno di immediati e ingenti investimenti in termini di ammodernamento del materiale fisso e rotabile, costruzione di raddoppi e nuove linee, messa in sicurezza di quelle esistenti, sviluppo tecnologico, qualità dei treni, ristrutturazione e ampliamento delle stazioni e quant'altro. Ebbene l'ente gestore annuncia un colossale investimento che, per la sua gran parte (ripetiamo il 70%), si occupa d'altro! Muove alla conquista della componente automobilistica del trasporto. E' il mercato, bellezza!, si potrà dire. Ma il mercato è fatto malamente. Per molti decenni, fino a tempi non lontanissimi, la maggioranza della cultura italiana (trasportistica e sociale) riteneva il "ferro" preferibile alla "gomma". Perché? Perché il treno è il mezzo ecologico per eccellenza. Non inquina, è comodo, ha una rumorosità più contenuta delle arterie stradali congestionate, è potenzialmente più veloce del mezzo automobilistico. L'alternativa treno auto ha lungamente animato il dibattito sul sistema dei trasporti del nostro Paese. Oggi il piano decennale di Fs sembra sanzionare, quasi plasticamente segnare, la definitiva sconfitta della cultura del treno, che non sia quello d'elite dell'alta velocità. Ogni ottimismo, anche per l'Umbria dunque, pare fuori luogo. E' del tutto prevedibile che gli storici programmi di raddoppio della Orte Falconara, della Foligno Terontola e di trasformazione della Fcu, rimarranno semplicemente sulla carta o tramonteranno definitivamente. Si, le Fs, forse, manderanno qualche pullman sostitutivo in più. L'aria sarà più inquinata, le strade più piene e pericolose, ma l'Umbria rimarrà isolata.