
Il Tour di Bernal è nato in Umbria. Il perugino Alberati: "Vi racconto la sua settimana a Perugia"

“Grazie Italia, sono un po' italiano anche io”. Sono alcune delle parole di Egan Bernal pronunciate sul podio di Parigi. Il colombiano domenica ha scritto una pagina di storia dello sport trionfando nel Tour de France ad appena 22 anni e non ha voluto dimenticare, nel momento dei ringraziamenti, il Paese che lo ha plasmato prima del grande salto al Team Sky. La prima tappa di Bernal è stata la Sicilia, poi ha vissuto in Piemonte. Ma pochi sanno che una settimana trascorsa in Umbria, a Castelvieto di Corciano, è stata decisiva nel suo cammino da fenomeno del ciclismo. Merito di Paolo Alberati, perugino di 46 anni, ex ciclista professionista, autore del libro “Gino Bartali, mille diavoli in corpo” che ha portato alla luce la storia del campione toscano salva ebrei, oggi procuratore e allenatore di ciclisti amatori, giovani e professionisti (vive sul vulcano Etna dove gestisce un centro di allenamento in altura). Paolo, lei è l'uomo che ha scoperto Bernal... “Credo di essere stato fortunato nel trovarlo. Lo portai in Sicilia dopo una segnalazione da parte del team manager della nazionale colombiana di mtb, Paolo Bianco (agosto 2015)”. Ci racconti la settimana in Umbria di Egan... “Bernal sognava di correre su strada, lo aiutai. Venne a casa mia, a Castelvieto. Facemmo dei test dai risultati eccezionali al Medisport Center di San Sisto con il dottor Antonio Carmelo Ceravolo, poi un allenamento dietro macchina attorno al Trasimeno grazie a Franco Belia, direttore sportivo della Secom Forno Pioppi (LEGGI QUI). Egan usò la mia Specialized. Da Corciano partimmo per la sua prima gara su strada vicino Pisa. Bernal vinse e tornammo ad allenarci ancora qualche giorno in Umbria. Gli feci visitare anche l'acropoli perugina. In quei giorni firmò il suo primo contratto da professionista con l'Androni Giocattoli di Gianni Savio”. Cosa lo ha impressionato nel successo al Tour? “La freddezza con cui ha gestito la lotta nella sua squadra con Thomas. Prima della diciannovesima tappa, quella dell'attacco sull'Iseran la cui vetta sta a 2.700 metri, ci siamo sentiti via whatsapp. Gli ho detto che sopra i 2.500 metri noi europei fatichiamo a respirare mentre lui vive sopra i 3.000 e quindi di attaccare quando mancavano quattro chilometri. Lui mi ha risposto ‘domani vediamo se è vero'. Non sapeva come motivare alla sua squadra questa scelta di attaccare, ma poi è scattato e ha preso la maglia gialla”. Ha altri talenti tra le mani? “Sì. Un italiano di sedici anni ma il nome non lo dico perché magari si monta la testa. Poi ho altri due sudamericani molto sopra la media, uno è il costaricense Kevin Rivera”. servizio di Nicola Uras