Si ribalta auto sul raccordo in galleria, un ferito: il video dell'incidente
E se decidessimo, una volta che il ministero dell’Istruzione alla vigilia degli esami di maturità ha scritto sul suo sito, in un titolo ben in vista, “traccie” invece di “tracce” che è venuto il momento di fermarci e rimediare all’ondata di sciatteria e ignoranza che rischia di travolgerci e farci sprofondare nel patetico oltre che nel ridicolo? Perché questo è solo un caso, sene trovano altri ovunque, in continuazione. Inutile riderci sopra (la rete ride sempre, sghignazza quando non manda improperi). Non serve a nulla nemmeno sottolineare che l’errore è stato presto rimosso, che il correttore automatico fa commettere sbagli involontari in serie: dopo aver scritto si rilegge, insegnavano i maestri delle elementari senza immaginare che nel terzo millennio ci avrebbe preso una febbre compulsiva da tastiera che ci obbliga senza motivo a digitare a gran velocità, sempre più svelti, come fossimo inseguiti da chissà chi, scrivere, battere, scrivere, refusi compresi e non rileggere mai. Inutile andare a ripescare gli altri (numerosi) sbagli commessi negli anni dallo stesso ministero nella presentazione dei temi: si tratta di questioni ben diverse, le inesattezze a proposito di biografie, opere, anni, autori ci sono sempre state e sempre ci saranno. Qui stiamo parlando di una cosa elementare, saper scrivere in italiano. Forse non vale nemmeno la pena di invocare la regola (ignorata) secondo cui la ce la g vogliono la i al plurale se precedute da vocale, non quando seguono una consonante. E’ chiaro che si tratta solo di ortografia, che la i al plurale non si pronuncia in ogni caso, che la lingua evolve, che ormai scriviamo valige al plurale e pure ciliege: tutte precisazioni interessanti solo per chi non vive nella bolla dell’inconsapevolezza. Per chi legge, è attento, curioso, abituato a scrivere, controlla, si ricorda, gli viene in mente il dubbio, sa come verificare in fretta. Questo è il punto: la colpa - ha spiegato il Miur - è di una società di informatica che lavora per noi, cui è affidato il sito. Immaginiamo la scena: addetti con titolo di studio adeguato, addestrati al computer, convinti di saperla lunga e ignari del mondo. Saranno capitati anche a voi, alla posta, in un ufficio comunale, un centro medico, al bar. Gente che ride in continuazione con i colleghi, che quasi vi ignora, continuando a schivare l’essenziale, l’incontro, la difficoltà, il problema, vivendo l’impiego in gruppo, una bella comitiva, come in gita. Senza voglia di imparare, convinti di sapere già tutto. Peccato che poi si distraggono, dimenticano, non ti stanno a sentire, rispondono da maleducati. E magari, commettono un errore di ortografia al computer. E che sarà mai?L’importante è illudersi che si faccia davvero così, che il lavoro sia questo. Guai a fargli notare lo sbaglio, la superficialità, la scarsa educazione: apriti cielo. E chi può dirgli niente. Rispondono sempre a tono, mai a scusarsi, senza la minima empatia. C’è come un fossato tra gli addetti ai lavori di “prima” e quelli di adesso. Come se questi ultimi venissero da un altro mondo, senza memoria, illusi che l’ignoranza possa essere sinonimo di innocenza. Di chi stiamo parlando? Fa male al cuore dirlo, si tratta dei giovani. Non tutti, molti. I nostri figli, quelli che abbiamo coccolato fino a ieri, convinti che un eccesso di protezione li rendesse felici e non più fragili, ignari, restii a migliorarsi. Proviamo a invertire la tendenza?
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